Dicembre

by Silvana Santo - Una mamma green

Dicembre è arrivato senza fare rumore. Ha portato con sé la pioggia che mancava da mesi, un grado in meno nella mia casa sempre troppo calda e qualche addizione temporanea alla quota già generosa di candele e lucine presenti normalmente nella piccola cucina in cui oramai si dipanano le nostre vite.

Dicembre è arrivato, troppo presto eppure in ritardo. Atteso con ardore dalla parte di me che desidera solo andare avanti veloce, mettere distanza tra sé e la disgrazia che si è abbattuta sul mondo da un tempo che è durato un anno appena e che sembra un’era geologica, perlomeno a me. E temuto con angoscia da un’altra parte di me. Quella che da quasi sempre soffre le festività di fine anno, lo specchio che le presentano implacabili e che le rimandano un’immagine in cui detesta fissare lo sguardo. Quella parte di me che da almeno vent’anni si salva da questo malessere senza scampo soltanto con una fuga programmata per dopo Natale.

Dicembre è arrivato, e ci ha trovati stanchi eppure ancora saldi, consapevoli in qualche modo che restare uniti è la sola cosa che in questo momento può tenerci a galla. Più che una famiglia, a volte sembriamo una squadra. Addestrati a fare quel che è necessario, affinati negli automatismi della cooperazione dai lunghi mesi di isolamento e reclusione. Una piccola cellula autarchica, cosa che nelle giornate buone mi sembra un vero miracolo e in quelle storte un mezzo abominio.

Ci ha trovati in trappola da mesi, a differenza di tanti che hanno potuto – o voluto in barba a ogni raccomandazione – mantenere degli sprazzi di normalità. A casa nostra, questo autunno tiepido e denso come melassa somiglia tantissimo alla primavera che nessuno di noi potrà mai dimenticare: niente scuola, niente amici, niente parchi, niente di niente. Solo che allora il senso di “universalità” della sciagura mi rendeva in qualche modo sopportabili la reclusione, l’isolamento, il disagio quotidiano affrontato da Davide e Flavia, mentre adesso non riesco più a liberarmi da una sensazione strisciante e cronica di bruciante ingiustizia. È più difficile accettare la solitudine, la clausura e l’immobilità, se senti che questo sacrificio viene condiviso solo da una parte minoritaria della popolazione. Rinunciare fa più male, se ti sembra che a farlo sia soltanto tu (e pochi altri “fessi” assieme a te).

Dicembre è arrivato, e sta scivolando via in un miscuglio indefinibile di tristezza e speranza, di magia e di frustrazione. Di aspettative e di paura per quello che verrà dopo. Dicembre è qui, e prova come tutti a fare il suo lavoro, con nuovi crismi e nuovi linguaggi.

Credere non è mai stato così difficile. Eppure non è mai stato così necessario.

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1 Commenti

Gabriele 4 Dicembre 2020 - 10:33

Ciao, capisco benissimo la tua sensazione. Le rinuncie che ho fatto, ma soprattutto fatto fare alla mia famiglia, sono tante e sofferte.
Lo sono ancora di più quando noto che non sono condivise da tante altre famiglie. Mi chiedo se non sia io a sbagliare, a eccedere con lo scrupolo. Ma mi tengo saldo ai miei principi di osservanza scrupolosa delle regole. Lo faccio per me, la mia famiglia ma anche per il bene comune.
Non sei sola!
Ci sono altri come te e come voi che affrontano questo periodo vuoto con coraggio e speranza.
Non può piovere per sempre!

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