Caro 2019, senza offesa, non vedevo l’ora che finissi. Lo so che sei soltanto una convenzione, che non hai deciso tu di cominciare a Capodanno e finire a San Silvestro, che “non sei cattivo, ma è così che ti hanno disegnato”. Ma ho bisogno di coltivare l’illusione che assieme a te vada via il dolore che io e la mia famiglia abbiamo dovuto fronteggiare quest’anno. Che vada via il senso di impotenza, di ingiustizia, di solitudine che abbiamo dovuto provare – tutti insieme e ciascuno per sé – di fronte alla malattia, al dolore e alla perdita.
Non dico che non ci siano stati momenti di pace o di gloria. Che tu non sia stato generoso di piccole bellezze quotidiane, di amore, di emozioni. Ma non è per questo che ti ricorderò finché campo. Purtroppo no.
Porta via con te, allora, quel nodo in gola che non va giù ma che neanche viene fuori. Le notti spezzate dai sogni, dai ricordi, dal rimpianto. La sofferenza di dover convivere col dolore degli altri. Di dovervi assistere senza poter fare niente di davvero salvifico, di risolutorio, di definitivo. E porta via con te, soprattutto, la paura. Che possa accadere ancora, che debba, inesorabilmente, accadere ancora.
Lasciami invece la consapevolezza di cosa sia davvero importante.
Di quanto sia prezioso il tempo, di quanto vivere sul serio significhi prima di tutto sprecarne il meno possibile. Dedicarlo a quello che conta, a quello che libera, a quello che eleva e che solleva.
Lasciami la tenerezza nel ricordare chi non è più, la gratitudine per il suo passaggio nella mia vita, la speranza di custodirne la memoria e l’amore per chi invece è ancora accanto a me.
Lasciami la speranza che dopo il buio venga fuori sempre l’arcobaleno (e sei stato proprio tu, mio ormai decrepito 2019, a regalarci gli arcobaleni più luminosi, e chissà che questo dopotutto non sia un caso).
Lasciami la certezza di quanto sia necessario impegnarsi per essere felici, e soprattutto accorgersi di quando questo sta accadendo. Non col senno di poi, non a posteriori, ma qui e ora, in diretta e in eurovisione.
Questo è quello che vorrei che restasse, alla fine, dopo il tuo passaggio così turbolento, dopo quest’anno che è stato un travaglio, ma senza la benedizione di un figlio alla fine degli spasmi:
“Quando sei felice, facci caso. Quando sei amato, facci caso. Quando non sei solo, facci caso”.