Ieri pomeriggio, sotto una pioggia ancora accennata, sono entrata in un negozio di cianfrusaglie made in China e ho chiesto due squishy a forma di ciambella. Li ho pagati un euro l’uno e sono uscita con la vaga sensazione di aver fatto qualcosa che avrei invece dovuto evitare. Era la prima volta, per me. Non sapevo neanche cosa fossero, gli “squishy”, prima di ieri. Non abbiamo la consuetudine di comprare giochini da pochi euro in edicola, ai distributori di palline o nei bazar dei cinesi. E così, ieri, quando per scongiurare una crisi a casa di un’amica ho promesso a mia figlia che le avrei comprato una ciambella da “squishare” (lei ha detto proprio così) come quella che aveva la sua amichetta, mi sono sentita come se stessi cedendo a un capriccio, come se stessi, seppure in modo veniale, venendo meno al mio compito di educatrice e di genitrice.
Il fatto è che su alcune cose a casa nostra vigono regole molto stringenti. Forse troppo, mi viene da chiedermi dopo l’episodio di ieri. Se riusciamo a essere relativamente flessibili su determinate questioni (come il consumo di dolci, per fare un esempio facile), io e il padre dei miei figli siamo invece abbastanza intransigenti per quanto riguarda la televisione, la tecnologia, gli orari e, appunto, gli acquisti. Forse è un retaggio dell’educazione che abbiamo ricevuto a nostra volta, oppure una scelta che dipende da convinzioni generali e profonde riguardo il consumismo, ma l’idea di concedere regalini di dubbia qualità e utilità ci fa venire l’orticaria. Non ho mai pensato che dormire con i miei figli, tenerli in braccio o in fascia per ore o allattarli ben oltre i primi sei mesi di vita significasse “viziarli”. Non ho mai esitato di fronte all’acquisto di un libro. Non mi scompongo se si sporcano dalla testa ai piedi per giocare in un prato o fare un lavoro creativo. Non si contano le “avventure” (mostre, laboratori, attività, cinema, teatro, esperienze di ogni genere) che io e il loro papà organizziamo sia a casa che in viaggio. Eppure mi costa una fatica immane pensare di comprare una bambolina di plastica da 30 euro, o di riempirli di pupazzetti, portachiavi e altri gadget collezionabili da un euro l’uno. Mi sembra antiecologico, antieconomico e, soprattutto, diseducativo.
Ma se con Davide questo approccio ha sempre “pagato”, nel senso che con lui potresti entrare nel reparto giocattoli di Harrods senza doverti sorbire richieste, capricci o scenate (per compleanni e Natale spesso chiede “regali a sorpresa” perché non coltiva particolari desideri materiali, tanto per dire) ci ha pensato come sempre sua sorella a sparigliare le carte, spiazzandomi completamente. Sì, perché Flavia comprerebbe ca…volate senza soluzione in continuità. Desidera tutto quello che vede: in tv, nelle vetrine, nei cataloghi pubblicitari, nei più squallidi negozi di souvenir. E, soprattutto, vorrebbe ogni cavalluccio, dinosauro, unicorno, palla rimbalzina, portachiavi fluorescente, manina appiccicosa, sirena camaleontica, uovo di drago, gargoyle e minotauro posseduto da ogni singola amica o amico che si ritrova. Nonostante le abitudini spartane con cui abbiamo cercato di crescerla, lei persevera ostinata ed estenuante nella sua supplica quotidiana.
Mi chiedo allora se in certi momenti non sia il caso di mollare un po’ le redini. Di fare qualche concessione a malincuore (perché, per dirla tutta, i miei figli sono comunque strapieni di giocattoli e gadget, almeno secondo i miei personali parametri), di accordare il famigerato compromesso. Quanto sarebbe stata più facile la mia vita, negli ultimi due anni, se ogni tanto avessi acconsentito all’acquisto di una inutile pallina a gettoni o di un terrificante pupazzino di lustrini reversibili? Quanti pomeriggi avrei “risolto”, quanti capricci avrei dribblato, quanta fatica mi sarei risparmiata indulgendo a un acquisto non necessario, a un regalo evitabile, a uno spreco consapevole?
Come sempre, credo, la risposta sta nella misura. Nel difficile e provvisorio equilibrio tra il rigore e il lassismo, tra l’intransigenza e la mollezza, tra il troppo e il troppo poco. Tra il crescere dei figli viziati, conformati e schiavi di falsi bisogni e il tirar su dei bambini frustrati, diversi, sfigati. Fare il genitore consiste nello scendere a patti ogni giorno con la propria coscienza e con le proprie idiosincrasie. Aggiustare ininterrottamente la rotta, un grado alla volta, con la pazienza di un santo. Discutere e ridiscutere i piani con se stessi, senza stancarsi. Perdonarsi di continuo.
3 Commenti
Mamma intransigente all’appello! Anche nei dolci io, veramente!
E, più che su queste cose (per altro devo dire che i miei figli da questo punto di vista, non fanno grandi capricci o richieste), io mi sto facendo un sacco di domande per quanto riguarda la tv e la tecnologia in generale. E sto cercando di capire come fare per evitare di “tirar su dei bambini frustrati, diversi, sfigati” senza però trovare un modo che soddisfi anche le mie convinzioni.
E comunque per ora devo dire che il modo in cui li stiamo educando mi sta solo rimandando feedback positivi, anche se so che passo sempre per la mamma carabiniere e devo dire che alle volte è davvero faticoso e sarebbe molto più facile mangiare pizza sul divano guardando la tv tutti i santi giorni…
Secondo me conta molto anche il contesto. Io confesso che mi sento sempre un’aliena, ogni giorno di più. 🙁
Ciao ragazze, secondo me e ovviamente è solo un mio parere dobbiamo essere più rilassate ….nel senso che se i nostri figli comprano qualche cavolata a destra e manca non succede niente nella educazione non per forza bisogna essere sempre carabinieri… Uguale per TV e cellulari un po non guasta e ci dirò di più ero una di quella niente circa niente qui niente la ma poi come in tutte le cose più si vieta e più che chi abbiamo davanti vuol fare l opposto…e lasciamoci andare!!!!!! Eppure noi siamo figlie di Georgi e spank occhi di gatto ecc ecc a go go almeno per quanto mi riguarda eppure siamo venute su così:-)))