Leggo spesso del problema di come riempire le lunghe giornate della quarantena, del pericolo di annoiarsi e di sentirsi “persi” e sgomenti dinanzi all’improvviso vuoto. Come ho scritto già in passato, i genitori di figli piccoli non corrono di certo questo rischio. E, almeno per quanto mi riguarda, è un gran bene che sia così: sono grata di avere i miei figli di cui occuparmi, e di avere così meno tempo a disposizione per indulgere nell’ansia e nella preoccupazione. Da quando è cominciato il lockdown (ovvero, personalmente, da quando hanno chiuso le scuole il 5 di marzo, anche se già la settimana precedente in Campania c’era stata una chiusura per sanificare gli istituti scolastici e noi avevamo ridotto drasticamente le nostre uscite e interazioni sociali), la mia giornata tipo e quella del padre dei miei figli si è andata progressivamente modificando, finendo con l’includere attività che già erano all’ordine del giorno prima della pandemia e incombenze nuove e in qualche modo “straordinarie”.
Un impasto sempre più denso di responsabilità e impegni che, a spanne, prevede:
– Lavorare online diverse ore al giorno: almeno 8 per mio marito, 3 o 4 per me. A lui, che per fortuna dispone di un pc aziendale, ho ceduto il mio “antro” nel disimpegno di passaggio in cui è piazzata la mia scrivania lunga 70 cm, io invece mi sistemo col portatile sul tavolo della cucina, che poi è l’unico presente in casa nostra. Lui è impegnato spesso in call e chiamate, io cerco di barcamenarmi tra la scrittura di contenuti per un’agenzia online, il blog e gli articoli per un paio di testate online con le quali collaboro. Si tratta per lo più di un lavoro creativo, che richiede(rebbe) una certa concentrazione e almeno un minimo di continuità. Lavorando (e guadagnando) molto meno di lui, va da sé che spesso sia io a ritrovarmi a gestire una buona parte delle incombenze domestiche di una normale famiglia italiana in quarantena ai tempi del Covid-19.
– Assistere Davide nella didattica a distanza, ovvero: assicurarsi che riesca a seguire decentemente le lezioni online (gli abbiamo, in mancanza di spazio, approntato una postazione di fortuna in camera da letto, col comò come scrivania), che la rete funzioni, che l’audio sia fluido etc; ricostruire i compiti a casa, recuperandoli da due diverse app (registro elettronico e Google Classroom), stampare eventuali schede, assicurarsi che lui comprenda le consegne e le porti regolarmente a termine, fotografare il lavoro svolto e consegnarlo alle maestre (su Classroom, via email o via Whatsapp, a seconda dei casi); gestire il flusso di messaggi nella chat di classe, tra precisazioni e rettifiche sui compiti, comunicazioni sull’orario delle lezioni a distanza, dettagli tecnici per l’accesso alle varie piattaforme. A tutto questo, si aggiunge il lavoro psicologico sottotraccia che punta a mantenere in lui un livello adeguato di motivazione e concentrazione. Un lavoro che, soprattutto nelle prime settimane della quarantena, quando non erano ancora state attivate le video-lezioni, era finito col diventare un’impresa titanica.
– Cercare di tenere occupata in modo costruttivo anche Flavia, mentre noialtri siamo tutti al lavoro. Il che si traduce nello stampare le schede e le attività che invia gentilmente la sua maestra della materna, darle istruzioni su come procedere, verificare che lo faccia in modo corretto ed offrirle eventuale supporto (spiegazioni, chiarimenti, esempi etc). Cercare di motivare in qualche modo anche lei, che vorrebbe sottrarsene, comprensibilmente e da un certo punto di vista anche legittimamente, ma se si rinuncia del tutto alla routine a alla disciplina, si finisce davvero col vivere in modo malsano e deprimente.
– Preparare tre pasti al giorno – spesso diversificati per esigenze di dieta, o di gusti -, più le merende. Cercare di fare in modo che questi pasti siano sufficientemente vari, sani, appaganti per tutti.
Lavare relativi piatti, pentole, posate e bicchieri (senza lavastoviglie, ma su questo so che siamo un caso limite).
– Rispondere alle legittime e fisiologiche esigenze di attenzione dei figli, giocando assieme a loro, leggendo per loro, ascoltandoli, guidandoli e proponendo ogni tanto stimoli costruttivi e intelligenti. Affrontando di tanto in tanto crisi di umore che ogni volta ci chiediamo se siano dovute o meno alla reclusione, il che condiziona la nostra reazione, e probabilmente la compromette.
– Cercare di mantenere il minimo sindacale di disciplina in casa, senza abdicare al ruolo educativo che ogni genitore dovrebbe sempre assolvere: garantire il rispetto degli orari dei pasti e della messa a letto, della quota giornaliera di televisione, degli standard minimi di igiene personale e di “decoro” (banalmente: fare in modo che i figli non passino intere settimane con indosso lo stesso pigiama). Assicurarsi che i bambini facciano un po’ di attività fisica, che escano all’aperto almeno una volta ogni tanto (per fortuna disponiamo di un piccolo giardino, che però è difficile da sfruttare perché non direttamente accessibile dalla casa). Uno sforzo che spesso richiede tantissime energie nervose, fisiche ed emotive, perché dopo tante settimane in cui sono saltati i consueti schemi, i ritmi fisiologici, l’attività motoria quotidiana, non è facile tenere in piedi una struttura di regole, di orari e di sane abitudini che impedisca di trasformare la quarantena in una specie di apatica convalescenza o di malsana vacanza.
– Combattere una quotidiana lotta con il disordine dilagante (non so voi, ma io finirò sepolta da una coltre di sedimenti costituiti da pezzetti di carta, lavoretti incompiuti, sorprese delle patatine, gadget di ignota provenienza, residui di pastelli temperati e mattoncini di ogni dimensione e colore), cercando, spesso invano, di convincere – leggi: costringere – i figli a fare la loro parte. Ogni tanto mi è venuta la tentazione di quantificare il tempo passato ogni giorno a rimettere ordine in casa, ma poi ho preferito rimanere nella beata incoscienza. Mi basta sapere che ogni volta che mi sposto da una parte all’altra del nostro appartamento mi ritrovo a rimettere a posto un oggetto, raccoglierne un altro, differenziare un rifiuto. Ogni volta. Alle preliminari operazioni di sistemazione e riassetto si sommano naturalmente quelle di pulizia. Che con due bambini in casa ventiquattro ore su ventiquattro – che mangiano, bevono, vanno in bagno, si lavano le mani, dipingono, impastano, incollano, ritagliano etc – somiglia ogni giorno di più alla gestione di un’emergenza sanitaria.
– Fare la spesa, e farlo in relativa sicurezza, cercando di ottimizzare le uscite e il tempo trascorso fuori casa, ma evitando sprechi di cibo e di denaro.
– Cercare di mantenere un minimo di “socialità” per noi stessi e per i nostri figli, facendo in modo di sentire con regolarità gli amici più cari, i nonni e gli zii. Impresa che in casa nostra si rivela spesso ardua, perché Flavia rifiuta quasi sempre il ricorso alle videochiamate. Assistere, per quanto sia possibile farlo a distanza e nelle attuali circostanze, un nonno alle prese con qualche acciacco.
– Occuparsi degnamente del gatto di casa, facendo in modo che non gli manchino cibo, lettiera, acqua dedicata (Artù soffre di calcoli urinari), che abbia ciotole e cassetta pulita, che goda sempre di coccole e giochi.
– Gestire le varie questioni burocratiche e amministrative che, a causa della quarantena, si sono andate ad aggiungere a quelle solite: inoltrare (e seguire) richiesta per i vari indennizzi disponibili, occuparsi dei rimborsi per i viaggi saltati e per l’assicurazione auto, seguire la contabilità e le tasse.
Accanto a questo, poi, ci sarebbe da tirar fuori il tempo e le energie per coltivare il rapporto di coppia e il proprio spazio personale: leggere, ascoltare musica, studiare, guardare un film, fare ginnastica, occuparsi del proprio corpo.
Una sfida continua, che richiede un investimento colossale in termini di energie fisiche e nervose, di pazienza, di equilibrio, di inventiva, di gestione dell’ansia e di rinuncia ai propri spazi personali (anche metaforici). Una sfida che spesso conduce al temporaneo fallimento, all’errore, alle urla, alla resa. Ma che di certo, per fortuna, non lascia spazio alla noia.
4 Commenti
Concordo! Tutto potrò dire, ricordando questo periodo, tranne di essermi annoiata. Io sono insegnante, ho un figlio alla primaria e sto anche studiando per un ultimo esame…praticamente il solito incastro più o meno senza corse a piedi e in bus. Buona serata a tutti
Anche io moglie e madre di una effervescente bimba di tre anni, lavoratrice da casa, concordo! Anzi aggiungo che per fortuna non abbiamo ancora iniziato la materna così siamo più che abituati a passare il tempo tra giochi lavoretti impasti provando ad incastrare qualche faccenda domestica giusto per il mantenimento di un accettabile livello di igiene e ordine…. le cellule cerebrali fino a notte lavorano alla ricerca di qualche attività non già vista e rivista, di qualcosa da dire per giustificare l’ennesimo giorno a casa cercando di convincere e convincersi che presto tutto tornerà alla normalità.
Ogni tuo post è un tuffo dentro i miei sentimenti….mi trovi sempre d’accordissimo…..MA no: senza la lavastoviglie non posso nemmeno immaginarmi!!! 😉
Hai descritto nel dettaglio esattamente quello che faccio io, quello che sento io. Aggiungerei solo lo sforzo titanico di simulare una certa serenità alla prole, dopo aver visto i notiziari.
Esattamente. Nel mio caso, anche dopo aver tentato di gestire le problematiche di salute di mio padre, che si stanno facendo sempre più pressanti proprio in questo periodo…