Io preparo da mangiare e ripulisco la cucina, lui apparecchia in tavola e lava i piatti.
Lui accompagna i bambini a scuola, io li vado a riprendere.
Io lavo il bagno, lui i pavimenti.
Io carico la lavatrice, lui stende il bucato. Insieme lo ritiriamo e lo mettiamo via, e nessuno dei due perde tempo a stirare.
Lui getta l’immondizia, io lavo i secchi della differenziata. Trascuriamo entrambi molto bene le finestre.
Lui pulisce la lettiera del gatto, io le sue ciotole.
Lui passa l’aspirapolvere, io combatto contro il disordine.
Tutti e due, in modi a volte simili e altre volte molto diversi, giochiamo tanto insieme ai nostri figli.
Al mattino, ciascuno dei due segue uno dei bambini, senza uno schema predefinito.
Di sera li mettiamo a letto insieme. Io leggo facendo “le vocine”, lui invece storpiando le parole. Dopo cantiamo insieme la stessa ninna nanna, a due voci. Entrambi necessari, nessuno indispensabile.
Nell’emergenza, nella solitudine imprevista o meno, ciascuno dei due trova comunque il modo, il proprio modo, per andare avanti senza l’altro. Con più fatica e, talvolta, con qualche disagio. Anche per i bambini. Ma è per questo che si chiamano “emergenze”. E la vita è fatta anche di questo, si impara anche da questo. Poi passa, e si va avanti come prima. Insieme, perché è questo che fa una famiglia. E se mai ci trovassimo di fronte a un cambiamento irreversibile e definitivo, soffriremmo in ogni caso, per poi trovare un nuovo equilibrio. Come tutti, come sempre.
Il padre dei miei figli e io non siamo “interscambiabili”, non lo siamo mai stati. Perché non siamo identici, e non lo saremo mai. Non vorrei che lo fossimo, vi dirò. Siamo bravi in cose diverse, abbiamo paura di cose diverse. Ci arrabbiamo per ragioni differenti. E questo fa di noi due persone, e due genitori, che non saranno mai perfettamente sovrapponibili, che non possono sostituire l’altro in tutto ciò che fa, esattamente nel modo in cui lo farebbe lui. Che ci provano, naturalmente, di fronte alla necessità, e che in qualche modo ci riescono anche, ma che funzionano meglio quando sono insieme. Ognuno coi suoi compiti e le sue consuetudini, stabiliti non già in base a dei ruoli stereotipati e preconcetti, ma alle proprie peculiari attitudini, preferenze e personalissime inclinazioni. Che potrebbero anche cambiare nel tempo, oppure no. Sarà la vita a stabilirlo. Il padre dei miei figli e io siamo, piuttosto, complementari. Dove io non arrivo, subentra lui. Nelle cose in cui lui arranca, provo a intervenire io. Se lui non riesce, mi cimento io. Quando io mi arrendo, lui cerca di sopperire. E quando siamo in difficoltà tutti e due, cerchiamo di stringere i denti e sopravvivere, semplicemente.
A volte mi sembra che per negare le differenze tra i generi, o meglio ancora tra le loro capacità e i loro diritti, si finisca col pretendere di negare quelle tra i singoli individui. Che invece esistono, e sono non soltanto innegabili, ma importanti e preziose.
A casa nostra, per esempio, io sono più brava a consolare, ma lui riesce a sdrammatizzare molto meglio di me.
Lui è un po’ troppo insofferente, io a volte pecco di eccessiva indulgenza.
Io sono molto creativa, e ho una fervida immaginazione. Lui è dotato negli sport e nei giochi che richiedono equilibrio e coordinazione. Entrambi abbiamo un senso dell’orientamento quasi inesistente.
Lui va forte sulla terraferma, io sono molto disinvolta nell’acqua alta. Io ho il terrore della velocità, lui non si sente sempre a proprio agio con gli animali.
Tutti e due amiamo scherzare e fare battute. Nessuno se la cava, né se la caverà mai, col bricolage e le riparazioni domestiche.
Io adoro leggere, lui ama suonare. Viaggiare e guardare certe serie TV rende molto felici entrambi.
Non perché io sia femmina e lui sia maschio, ma perché io sono io e lui è lui. E penso che, da genitori, fintanto che restiamo insieme, possiamo funzionare molto meglio accettando e valorizzando le nostre differenze, invece di convincerci di essere identici, o di imporci a tutti i costi di diventarlo.