Se vi chiedessi quanto condividete coi vostri compagni la fatica quotidiana di badare alla casa e di accudire i figli, cosa mi rispondereste? Molte di voi, in assoluta buona fede, direbbero che nella propria famiglia tutto viene diviso “al 50 e 50”, e che anche i propri compagni si occupano di cucinare, pulire la casa, fare la spesa, cambiare pannolini e mettere a letto i bimbi. Benissimo. Ma se vi chiedessi quanto sono coinvolti i padri nell’organizzazione del quotidiano, quanto sopportano con voi il carico mentale estenuante che c’è dietro la gestione di una famiglia, allora che cosa mi rispondereste? Chi tiene i rapporti con il pediatra, chi si ricorda di prenotare le vaccinazioni e poi tiene a mente gli appuntamenti? Chi dialoga “quotidianamente” con insegnanti e rappresentanti di classe, chi tiene i rapporti con gli amichetti e i loro genitori? Chi si occupa di comprare i regali quando si viene invitati a un compleanno, chi fa caso al corredo scolastico mancante, chi è che si rende conto che è quasi ora di fare il cambio di stagione, e di integrare eventualmente il guardaroba dei bambini? Se la risposta è “entrambi allo stesso modo”, fidatevi: siete parte – per merito, per caso o per fortuna, poco importa – di quella sparuta minoranza di famiglie in cui non solo il lavoro “materiale”, ma anche quello “gestionale” e logistico viene ripartito equamente tra padre e madre.
Lo chiamano “carico mentale”, appunto, e a volte è così pesante da diventare una zavorra insostenibile, che ti schiaccia fino a toglierti il fiato e la lucidità. Per me, più che altro, è come una folla di voci che mi si accavallano dentro la testa, una quantità di informazioni sovrapposte su cui il mio cervello non riesce a mantenere il controllo o a stabilire delle gerarchie di priorità. E che sembrano fuggire nel vento come post-it attaccati malamente a una bacheca troppo affollata. È una sensazione fisica, proprio. La sensazione di una mole di dati che trabocca incontenibile dal mio cranio, che frana verso il basso e minaccia in ogni istante di seppellirmi.
Per anni, anche a casa nostra, il carico mentale era decisamente sbilanciato a mio sfavore. Lo schema, di solito, era sempre lo stesso: cominciavo una qualsiasi attività – un articolo da consegnare, una lavatrice, la lista della spesa, la fattura per un cliente – e mi ricordavo all’improvviso di altre scadenze, responsabilità, incombenze improcrastinabili in attesa da troppo tempo. E così, magari, lasciavo in sospeso ciò che stavo facendo per dedicarmi a quella che, nel caos, mi pareva in quel momento la questione più urgente (per esempio: scrivere al pediatra per programmare finalmente il controllo), ma nel frattempo pensavo già agli zaini per la palestra da preparare, al bollo auto scaduto la settimana precedente, ai quaderni nuovi che andavano tassativamente comprati entro sera, alle pappe per il gatto da ordinare con urgenza. Alla fine, spesso e volentieri, mi ritrovavo sfinita. Sopraffatta dalla mole insostenibile di responsabilità, di scadenze da tenere a mente, di imprevisti da fronteggiare. E non riuscivo a fare al meglio nessuna delle cose tra le quali mi sarei dovuta barcamenare.
Non è solo una questione di organizzazione o di metodo. Più semplicemente, a volte quello che ci viene richiesto (magari anche da noi stesse) è davvero troppo. “I pensieri”, li chiamava mia nonna – a volte vorrei avere un pensatoio come Albus Silente, per alleggerire il peso che grava sulla mia testa. In realtà si chiama carico mentale, ma è lo stesso. E quello che accade è che spesso e volentieri questo carico non sia distribuito in modo equo nella coppia genitoriale, ma finisca col ricadere principalmente sulle madri (e sulle donne in genere, perché vale anche per esempio per chi ha genitori anziani da accudire).
Ma non esiste alcuna ragione biologica per cui debba spettare alle donne il compito di tenere le fila di “quel che c’è da fare”. I padri, e i maschi in generale, non sono al mondo per fare “il braccio armato”, gli esecutori materiali di istruzioni impartite dalle proprie compagne. Quello che ci condanna a questa iniqua spartizione della fatica e dello stress è solo un pregiudizio. Un retaggio culturale che poteva funzionare, forse, quando le donne lavoravano “soltanto” dentro casa, ma che adesso è un modello obsoleto, inefficace e totalmente ingiusto.
La coppia di cui faccio parte, dopo un periodo davvero critico per la sottoscritta, sta tentando da tempo di imparare a dividersi il carico mentale più alla pari. È un processo lungo e complesso, che ha comportato (e ancora causerà) discussioni, contrasti e incomprensioni. Notti trascorse a parlare, accessi di rabbia, fatica. Sofferenza. Perché anche se chi sta “dall’altra parte”ha tutta la buona fede del mondo, non è facile e non è immediato cambiare visione e abitudini nel profondo. Rendersi conto di quello che bisogna provare a modificare. Ma per quanto tempo ed energie richiederà, riuscire nell’impresa di redistribuire il carico mentale è una sfida irrinunciabile, una conquista cruciale per il benessere della nostra famiglia. E sono certa che sia così anche nelle case di molti di voi.
*La bellissima illustrazione è della mia amica Elisabetta Bronzino “Minoma”, che ringrazio per aver tradotto in arte, con talento e grande efficacia, quello che le mie parole volevano esprimere.
7 Commenti
Anche organizzandosi secondo me è difficile avere un 50-50 se lui per esempio è fuori per lavoro più di lei. Io divido quel che posso, l’anno scorso per esempio era chat di scuola io, chat di sport lui, ma quest’anno che è lontano faccio tutto io; in compenso tutti i webinar, le riunioni via web and so on sono tutte sue quest’anno!
Insomma si fa quel che si può, ma è chiaro che un 50-50 è difficile
Certo, non è che si debba essere così fiscali. Però tendo a pensare che di norma è tutto sbilanciato a sfavore delle madri…
A casa faccio tutto io. Mio marito lavora e si limita ad intrattenere la bimba mentre io corro da una stanza all’altra cercando di sbrigare tutto il dovuto nel minor tempo perché so che Lei non tarderà molto a protestare la mia presenza.
Un carico mentale nonché fisico che i primi mesi da mamma mi stava facendo impazzire.
Ma ho capito che il problema era mio. Non riesco a delegare non riesco a chiedere né a lui né a mia madre…devo avere tutto sotto controllo ….. diciamo che ci sto lavorando ma è complesso :/
Ti capisco, è un cammino che non finisce mai!
Ciao! Sono un papà (ti scrivono anche i papà?).
vabbè adoro il tuo blog!
Mi ha colpito questo articolo perchè subisco un sacco il carico mentale. Diciamo che tutto ciò che è amministrativo spetta a me (bollette, pagamenti / rimborso asilo, prima del lockdown la totalità della spesa e dalla sua sistemazione a casa).
Poi però tutto ciò che concerne la gestione della casa (pulizia, cambio di stagione, preparazione dello zaino per il giorno successivo della bimba) sono totalmente a carico di mia moglie.
Altre cose sono al 50% (accudire e sfamare la bimba, prenderla dall’asilo o cucinare).
Se dovessi tirare un bilancio io credo che la bilancia penderebbe più dalla sua parte.
Però, c’è un però: quello che ho notato e che non riesco proprio a cambiare è la difficoltà ad accettare da parte dei mia moglie (e confontandomi con altri amici pare affliggere anche il resto del mondo femminile) che esista un metodo e una tempistica diversa da quella che immagina lei.
Esempio: Gabriele che sta finendo la cena (mangio parecchio più di lei o della bibmba di 2 anni). Anna si alza e comincia a sparecchiare.
Gabriele: “Anna, lascia pure,finisco io qui. Tu prendi la bambina e mettiti sul divano”
Anna: “ok”
Cinque minuti dopo, Anna con l’aspirabriciole, io che devo cenare alzando i piedi, la bambina che fa casino da sola
‘:-)
Ciao Gabriele, che bello questo tuo commento così autentico! 🙂 I papà non mi scrivono spesso, ma quando succede offrono sempre punti di vista utili e spunti interessanti. Credo sinceramente che sia una questione caratteriale, a casa mia è più il papà che tende a “fremere” quando finiamo di mangiare. Io, magari, sono invece fin troppo “sollecita” (leggasi ansiosa e frettolosa) in altre circostanze. La verità, secondo me, è che siamo talmente oberati e abituati a vivere con ritmi poco sostenibili, che ci siamo abituati a correre sempre e comunque, ci sentiamo “in difetto” quando, semplicemente, non stiamo “facendo niente”. Dobbiamo lavorarci sopra tutti assieme, per dare anche un esempio diverso ai nostri figli e alle nostre figlie.
Mi sono rispecchiata molto nel tuo articolo, ed è proprio così che mi sento sopraffatta, schiacciata… E questo mi porta a perdere la pazienza troppo spesso, purtroppo, soprattutto con i miei bimbi.