Ho un figlio che, a prima vista, non mi somiglia granché.
Ci soffrivo, lo ammetto, quando lui era appena nato e tutti non facevano che rimarcare – a volte con un sarcasmo di cui non ho mai compreso il senso – che fosse “la copia esatta di suo padre”. So che è un sentimento puerile, ma all’epoca era tutti così nuovo e difficile, e la maternità mi sembrava una condizione così estranea, che anche questi particolari, conditi con un cocktail di ormoni e la deprivazione del sonno, causavano dispiacere.
Quando è nata sua sorella, circa un anno e mezzo più tardi, è stato come se la lotteria genetica avesse voluto pareggiare i conti. Flavia, in certe fasi della sua prima infanzia, più che mia figlia sembrava un mio clone. Tuttora condividiamo ancora moltissimo del nostro aspetto esteriore, incluse le forme del corpo, la distribuzione del grasso, le dita dei piedi e finanche gli odori corporei.
Ma nel tempo, anno dopo anno, è sempre più chiaro quanto io e Davide fossimo intimamente somiglianti. Condividiamo interessi e attitudini, paure, vulnerabilità ed entusiasmi. Anche certi accessi di irrazionalità e di rabbia, destinati a svanire poi in un lampo, così come si sono manifestati. A volte lo guardo e mi sembra di specchiarmi. Penso, spaventandomi un pochino, di non aver mai incontrato un’altra persona così simile a me.
Anche se non è semplice ammetterlo (e non sono in molti, forse, a essere disponibili a farlo) è naturale cercare se stessi dentro i propri figli. Siamo nient’altro che animali, dopo tutto, e diventiamo genitori anche e principalmente per rispondere a un istinto potente che ci raccomanda di perpetrare noi stessi, come specie ma anche come individui. I figli, comunque siano venuti a noi, sono il nostro lascito definitivo: tutto ciò che di noi, alla fine, sopravviverà a noi stessi.
Non è sempre facile, al contrario, individuare nella propria progenie qualcosa che ci è estraneo e alieno, qualcosa che non ci rassomiglia o che magari è antitetico rispetto a quello che noi sentiamo di essere. Qualcosa che non comprendiamo, magari, o che disapproviamo apertamente. Ma è questa la parte più interessante della sfida: amare con tutto il cuore quanto dei nostri figli non arriviamo a riconoscere, a capire, a condividere. Amare la parte di loro che da noi è più distante. Forse, una vita basterà.