Quando ero piccola, la domenica era il giorno in cui – non ricordo, sinceramente, se con piacere o con pazienza – indossavo i vestiti migliori, le calze di filanca e le scarpe di vernice. C’erano la Messa nella nostra parrocchia, la passeggiata in centro e il pranzo coi parenti, che era lauto, ma non esagerato, e si protraeva di solito fino al primo pomeriggio. Ogni domenica era uguale alle precedenti, la liturgia familiare si ripeteva senza imprevisti stagione dopo stagione, anno dopo anno. Un altro rito si consumava d’estate, quando partivamo per la lunga vacanza d’agosto nella grande casa di mia zia. Tutte le mattine venivo svegliata alla stessa ora per andare in spiaggia con la corriera delle 8.30 o, meglio ancora, delle 8 in punto. Ogni giorno facevo silenziosamente a gara col mondo per essere la prima a mettere piede nella gelida acqua mattutina, e quando ci riuscivo mi sentivo davvero fichissima (anche se, a pensarci adesso, forse ero semplicemente sola). Rientravamo presto, in tempo per evitare le ore più calde e fare un lungo riposino dopo la doccia e il pranzo. Solo la domenica non si scendeva in spiaggia, per salvaguardarci dall’assedio dei turisti pendolari in arrivo dalla terraferma. E per consumare il solito rituale della Messa con i vestiti di piquet e delle paste dolci che mio zio spacchettava con l’acquolina in bocca alla fine del pranzo.
Oggi la domenica (o il sabato) è il giorno in cui inforco le mie scarpe da trekking, o i sandali da passeggio, e infilo dei pantaloni tecnici da escursionismo. Riempio la borsa termica di provviste frugali e parto con la mia famiglia per “l’avventura della settimana”. Sempre un posto diverso, un’attività nuova, un angolo della mia terra da esplorare. Fiumi, cascate, monti e valli, siti archeologici, laghi e spiagge. Ma anche musei e castelli, teatri o laboratori. Non metto piede in una chiesa, se non per visitarne le opere d’arte e l’architettura, da non so quanti anni. Se possibile, la domenica è anche il giorno dedicato agli amici vecchi e nuovi, o almeno a quelli, e in effetti non sono tanti, che non portano avanti a loro volta l’irrinunciabile tradizione di famiglia del lungo pranzo a casa con i parenti e coi vestiti buoni (magari con l’aggiunta tutta contemporanea di una passeggiata pomeridiana al centro commerciale). E l’estate, beh, per noi l’estate non è tale senza un viaggio itinerante che si componga di esperienze multiple, di qualcosa di mai fatto prima, di una regione straniera in cui mettere piede per la prima volta, di sapori esotici da sperimentare. Il mare non sempre è presente, perché in fondo ci troviamo più a nostro agio a viverlo fuori stagione, magari, se siamo molto fortunati, ad altre latitudini.
Ricordo con tenerezza le domeniche e le estati della mia infanzia. Le ricordo come un periodo sereno e rassicurante, pieno d’amore, e sono grata di averle vissute. Ma se oggi mi si chiedesse di passare i fine settimana seduta a tavola con nonni e zii, o di trascorrere l’estate sotto un ombrellone, magari tornando nella stessa spiaggia anno dopo anno, credo proprio che non riuscirei a sopportarlo. La vivrei come una limitazione intollerabile della mia libertà personale, come una trappola senza via di uscita. Come una sorta di tradimento verso la mia vera natura. E, soprattutto, come uno spreco imperdonabile di tempo, di possibilità, di vita. Una condanna all’immobilità che finirebbe col rendermi perennemente infelice, senza rimedio.
Si diventa adulti – e si diventa genitori, soprattutto – non solo per emulazione, ma anche per antitesi. Accade, una volta cresciuti, di trovarsi a fare scelte che, rispetto a quelle di chi ci ha preceduto, si collocano più in un’ottica di contrappasso che di analogia. E magari questo si verifica automaticamente, in modo spontaneo, senza che sia frutto di una decisione deliberata e consapevole. Succede, e basta. Perché qualcosa dentro di noi ci richiama a un certo punto alla nostra intima natura, alla nostra personale e insindacabile idea di felicità. Alla consapevolezza che ci è dato di vivere una volta soltanto, per una stagione molto fugace, e abbiamo il preciso dovere di farlo nel modo che più ci rassomiglia. E così ci si può trovare a dare ai propri figli un’infanzia drasticamente diversa rispetto alla propria, chiedendosi se, alla fine, ripenseranno anche loro a questi primi anni senza nostalgia ma con affetto e dolcezza. Forse, anche gli errori che facciamo li commettiamo per contrappasso, in qualche modo.
Le tradizioni di famiglia sono una cosa molto seria. Sono importanti e preziose, sono le colonne portanti della nostra memoria profonda, l’orizzonte dal quale partire verso il nostro esclusivo destino. Ma non è detto che debbano essere uguali per tutti, né che debbano restare inalterate generazione dopo generazione. Forse i miei figli compreranno una casa sul litorale tirrenico, e ci passeranno ogni villeggiatura e ogni domenica della loro vita adulta, con addosso i vestiti buoni e le scarpe eleganti. Non sarebbe certo un tradimento, ma un’affermazione di sé e un esercizio di libertà. E andrebbe benissimo così.
3 Commenti
Io penso di aver avuto un paio di scarpe di vernice nella vita, che sono (hanno?) giaciute intoccate per anni (nel ricordo) nel mobiletto delle scarpe perchè mi facevano le piaghe. Forse ho avuto qualche vestitino col corpetto a nido d’ape (un must degli anni settanta) che detestavo.
E’ che io sono la seconda generazione. Mio padre ha fatto da apripista. Ha abolito le domenica dai nonni, le vacanze nello stesso posto (è un ricordo della mia primissima infanzia, anche bello). Siamo andati in jugoslavia in tenda, alle isole eolie e vomitato anche l’anima sull’aliscafo, fatto quasi la fame in olanda, perchè si poteva partire con pochi soldi (perchè non si potevano esportare “capitali” all’estero) e ti ritrovavi in posti in cui il costo della vita era dieci volte che a Napoli. E niente. l’itchy feet sta tutto li’.
Mio papà è stato un anticonformista per certe cose, ha piantato un seme che però è solo in me che ha trovato davvero terreno per germinare. 🙂
Noi invece facciamo domeniche classiche e per quanto le odi, vedo che alle mie bimbe danno serenità. Hanno solo i nonni paterni e mi sento tanto in colpa a non poter dare loro anche l’affetto dei miei genitori.
Le vostre domeniche verrei io a farle con voi 😜
Un abbraccio Silvana, sei sempre cara