Mia figlia è la stessa bambina che dopo un volo intercontinentale con scalo (con partenza all’alba) incassa i complimenti del vicino di seggiolino, al grido di “Non ho mai visto una bambina così brava in aereo”. E che poi, non più di qualche giorno dopo, mi costringe a sgridarla nello studio di un’oculista perché tenta di arrampicarsi sulla poltrona delle visite mentre io cerco di parlare con la dottoressa.
Mia figlia è la stessa bambina che si è “autosvezzata”, che a un anno e mezzo mangiava di gusto in un villaggio remoto della Repubblica Dominicana, che da piccola mi rubava lo street food asiatico dal marsupio o dalla fascia. E che da qualche tempo ha un sacco di difficoltà col normalissimo cibo casalingo (e con quello della scuola), che andrebbe avanti solo a caramelle e patatine e che impiega ore e fatica per finire un piccolo piatto di pasta.
Mia figlia attira sguardi e carezze in mezzo globo. Incassa i commenti sulla sua “dolcezza” con vanità ma anche con timidezza, schernendosi e ricambiando a suon di saluti rispettosi. E sempre lei bisticcia furiosamente con suo fratello, reagisce alle provocazioni con ferocia e riesce a raggiungere con le sue urla un livello di decibel da causare dolore ai timpani.
Mia figlia soffre un pochino l’ambiente scolastico perché è troppo remissiva. Tende a eseguire gli “ordini” delle compagne più intraprendenti, a lasciarsi strapazzare le guance paffute, a giocare ruoli subalterni nei giochi. Per poi, una volta a casa, tentare di fare esattamente il contrario con noi, assumendo la postazione di regia ed esercitando la propria attitudine alla leadership.
Mia figlia è sole e luna, fuoco e ghiaccio, vento e sabbia. È tutti i colori dell’iride, una contraddizione costante, una sorpresa quotidiana. Non è sempre facile, mia figlia. Perché ti costringe a fare i conti con l’imprevedibile, ad accettare l’imponderabile, a prendere atto di cose che non puoi capire, e che magari ti fanno arrabbiare, dispiacere, preoccupare.
Mi ricorda un gatto, mia figlia. Senza padroni, senza certezze. Senza copioni. E come i gatti mi insegna ogni giorno l’amore incondizionato, irrazionale, “materno”. E io imparo forse troppo piano, ma non smetterò mai di provarci. Con tutta me stessa.
2 Commenti
Non viverla come critica, vorrei un tuo parere per un confronto e una riflessione personale. Non ti turba esporre così i tuoi figli? Non tanto i loro nomi e i loro visi, ma il loro essere? Non ti sembra di far loro una scorrettezza, di ledere la loro privacy? Non credi che un domani loro possano non apprezzare la loro minuziosa descrizione data in pasto al web?
Credo che qualsiasi nostra scelta da genitori ci esporrà alle critiche dei figli. A partire dal nome che gli abbiamo imposto, fino alla scelta stessa di metterli al mondo. Io conosco la mia buona fede, il rispetto che nutro nei loro confronti e il mio intento (confrontarmi, condividere, empatizzare con altri), accetto il rischio ma spero che loro domani mi comprendano (detto questo, i post in cui parlo di loro sono davvero la minima parte, di norma scrivo di quello che sento e vivo io come madre e non il viceversa).