I figli non ti avvisano prima.
Non ti danno segnali del cambiamento incipiente, non mandano preavvisi e allerte che ti consentano di prepararti, in qualche modo. I figli, semplicemente, crescono. E lo fanno a volte con delle epifanie improvvise, con degli strappi bruschi e dei balzi estemporanei. Il giorno prima vengono a infilarsi nel tuo letto in piena notte, il giorno dopo smettono di farlo per sempre (o almeno per qualche decennio). E tu magari neanche te ne rendi conto, lì per lì. Prendi atto con soddisfazione della nottata di sonno ininterrotto, ignorando che quella a cui avevi assistito il giorno prima, senza averne la minima coscienza, era la celebrazione di una delle vostre ultime volte.
I figli non ti avvisano prima, quando smettono di aver bisogno di te per qualcosa che fino a quel momento ti aveva visto indispensabile. Non ti comunicano che sarà proprio quello, l’ultimo pomeriggio in cui ti chiederanno di giocare insieme a loro. Non ti concedono il lusso di goderti quell’ultima volta, di assaporarla con consapevolezza, di astenerti, forse, dal pensare a quanto esigua è la tua voglia di stare lì a distribuire carte e lanciare dadi.
Forse è proprio questo, il bello, a pensarci bene.
I figli sono come la vita, che non ti avverte prima delle frustate né delle soddisfazioni in arrivo. Sono la personificazione dell’imprevedibile, della sorpresa, dell’equilibrio instabile (che non per forza deve voler dire labile, o precario). Sono il monito quotidiano a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, perché per certi versi è sempre così, con loro: domani saranno diversi da quello che sono stati oggi, anche se nessuno ti avvisa del cambiamento in atto.