Il nostro (in)successo professionale non definisce il nostro valore

Sono entrata nel mondo del lavoro nel 2007, dopo un lungo percorso, comune a tanti, fatto di studi universitari, master, tirocini formativi, stage, ancora stage, e via dicendo. Sono entrata nel mondo del lavoro nel 2007, e da allora non ne sono mai uscita, ma in tutti questi anni ho conosciuto soltanto forme di lavoro atipiche – contratti a progetto, collaborazioni, ritenute d’acconto, partita IVA, diritti d’autore etc – e ho avuto sempre redditi incerti, irregolari e più o meno bassi. Anche se dal punto di vista strettamente economico mi considero per tanti versi una privilegiata, la mia condizione professionale è stata spesso, in questi anni, causa di frustrazione, di imbarazzo, di rimpianto. Finanche di senso di colpa, certe volte. Non è facile, dopo tutto, andarsene a testa alta per il mondo nonostante le brillanti promesse giovanili si siano rivelate così miseramente infondate. Non è facile, dopo una vita condotta da prima della classe (finanche al corso di scuola guida), rassegnarsi a finire nel girone degli sfigati.

Già, perché in qualche modo sembriamo tutti convinti che il “valore” di una persona si misuri sulla base del suo successo professionale ed economico. Che la realizzazione personale possa arrivare solo in virtù della posizione che si riesce a raggiungere sul luogo di lavoro, dell’entità del proprio stipendio, del tenore di vita che si riesce a mantenere. Pensateci. Tendiamo a definire noi stessi e gli altri sulla base del lavoro che facciamo (si dice “io sono un ingegnere”, quando la forma più corretta sarebbe “io faccio l’ingegnere”); tendiamo a considerare un “buon impiego” quello che fa guadagnare molto; tendiamo a sottolineare i risultati scolastici, sportivi e sociali dei nostri figli; tendiamo ad ammirare le persone “di successo”, più che quelle buone, amabili, empatiche. E a considerare dei falliti quelli che difettano di ambizione.

Tendiamo, e spero di estremizzare, a reputare qualcuno degno di stima, di rispetto e di ammirazione (se non addirittura di invidia) anche semplicemente in base al suo curriculum accademico, al suo ruolo professionale, al suo censo. Come se la “cultura” di una persona, e soprattutto la sua anima – concedetemi un termine desueto a parecchio naif – si misurassero esclusivamente a partire da questo tipo di parametri.

Raramente ho sentito un genitore di figli adulti compiacersi della loro felicità. Della loro integrità, della loro onestà intellettuale. Della loro rettitudine e saggezza. Del loro senso civico e dell’affetto che riescono a meritarsi da parte degli altri. Di solito, la soddisfazione brilla copiosa negli occhi di madri e padri che riferiscono di rampolli laureati con lode, impiegati con rapidità, lanciati in carriere dorate. Il che, intendiamoci, è normalissimo e sano, oltre che legittimo, e ci mancherebbe. Ma il punto è: che valore diamo a quello che le persone (a cominciare dai nostri figli) sono, al di là di quello che fanno? Siamo sicuri che una persona “di successo”, che però sia magari arrogante, cinica, anaffettiva e arrivista, meriti comunque la nostra stima e la nostra invidia?

Io ho deciso che voglio provare a liberarmi (e magari liberare anche i miei figli) dalle catene del condizionamento. Non voglio più sentirmi, come accade da anni, frustrata, inutile, patetica o fallita perché il mio lavoro è precario o sottopagato. Non voglio vergognarmi quando incontro un vecchio compagno di studi. Non voglio sentirmi in dovere di precisare, quando vado a prendere mio figlio a scuola, che “stavo lavorando al computer”. Voglio educare me stessa a sentirmi frustrata e patetica quando mi comporto male, quando sono scorretta, sleale, ipocrita. Quando non sono fedele a me stessa. Quando mi comporto come una pessima madre, moglie, amica, figlia e cittadina. E voglio riuscire a sentirmi fiera di me quando invece riesco a fare del mio meglio come essere umano, a prescindere dal “successo economico e sociale” che avrò raggiunto in quel momento. Voglio chiedermi se il lavoro che faccio, e il modo in cui lo faccio, mi rende onore come persona, al di là di quanto mi frutti o di quanto sia “prestigioso”.

E voglio che i miei figli crescano sentendo che il loro valore non si misura, o perlomeno non solo, in voti o in bonifici automatici alla fine del mese. Che devono dare sempre il massimo, ma la loro realizzazione ultima non deve passare necessariamente dal prestigio, dal riconoscimento sociale, dal conto in banca. Voglio che sentano che il loro obiettivo deve essere quello di diventare delle brave persone, in grado di migliorare la vita di chi hanno intorno. Perché questo, soltanto questo, potrà renderli davvero realizzati, risolti e felici.

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12 Commenti

Ivana 5 Giugno 2019 - 13:16

Sei riuscita a mettere nero su bianco i miei pensieri 🌹

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Silvana - Una mamma green 5 Giugno 2019 - 13:31

Ne sono lieta, mi sento meno sola!

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lavinia 5 Giugno 2019 - 13:50

grazie, grazie, grazie. coincidono i sentimenti, le circostanze, persino le date. però non snettiamo di attendere e inseguire il sole che ci meritiamo

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Silvana - Una mamma green 7 Giugno 2019 - 08:55

Grazie a te, per questa immagine così incoraggiante e forte! 🙂

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L'angolo di me stessa 6 Giugno 2019 - 14:18

La felicità, esatto. Cosa vorrei facessero i miei figli? Non lo so, ma vorrei che fossero felici…non lo dico spesso perché la gente mi guarda quasi con compassione…o come fossi una pazza!

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Silvana - Una mamma green 7 Giugno 2019 - 08:54

Come ti capisco! 🙂

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Simo 6 Giugno 2019 - 19:15

Liberarsi dai condizionamenti sociali ma anche famigliari (visto che la famiglia fa parte della società) è veramente difficile e necessario allo stesso tempo. Difficile perché quei condizionamenti ormai dopo 35 anni di vita si sono insinuati così profondamente, accomodati così bene dentro di noi che bisogna fare un lavoro certosino per depurarsi. Necessario perché lasciare che il proprio io non corrisponda davvero a quello che pensiamo di essere, crediamo di dover essere può farci vivere molto male. In fondo lo “spirito interiore” di cui parla la Montessori non è qualcosa su cui ragionare solo x migliorare il nostro modo di educare i nostri figli ma anche relativo a noi stessi. Il nostro spirito Interiore è stato rispettato quando eravamo piccoli? Domande e pensieri che mi attraversano la mente proprio in questo periodo. Grazie x il tuo ragionamento.

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Silvana - Una mamma green 7 Giugno 2019 - 08:54

Grazie a te per la tua riflessione così interessante e utile!

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Clio 7 Giugno 2019 - 13:38

Una volta pochi mesi fa ho letto in un libro di Thomas d’Ansembourg che il tuo valore non dipende quello che fai; ma le tue azioni dipendono da quello che sei. Mi sono resa conto di quanto tempo ed energie spendessi per FARE, senza riuscire a stare ferma, e di quanto poco mi concentrassi a essere, semplicemente. Quando siamo cresciuti e abituati a misurarci sulla base dei risultati, finiamo talvolta col perderci, non avere più il senso del nostro valore intrinseco.. col rischio che quando poi i risultati “attesi dalla società” non ci sono, ci sentiamo vuoti e inutili. Bello ricordarci tutto questo con il tuo articolo!

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Silvana - Una mamma green 12 Giugno 2019 - 13:18

Grazie a te per il tuo consiglio di lettura! Interessante!

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Claudia 8 Giugno 2019 - 14:06

Eh si devi farlo! E lo dovrebbero fare tutti…parlo così xche io lo faccio da sempre e aime le persone che “dovrebbero” aver stima ecc ecc che ci imponeva la società spesso umanamente fanno pena e per quanto mi riguarda è tutto

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Chiara 27 Novembre 2019 - 22:54

Grazie per questo pensiero, in cui mi ritrovo perfettamente e che condivido.
Occorre un lavoro interiore, una sorta di lenta conversione, un cambio di rotta, per essere davvero fedeli a noi stessi. Occorre imparare a guardare dentro, e non essere così dannatamente superficiali.
Grazie perché è bello non sentirsi sole a intraprendere questa sfida.

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