Questa è una primavera faticosa, per me (e sto usando un azzardato eufemismo, credetemi). Mi cimento con problemi di ogni natura, in qualche caso molto seri e del tutto al di fuori del mio controllo. A questo si aggiungono le difficoltà ordinarie del quotidiano. La stanchezza stagionale, la morsa della routine, le scadenze che si inseguono, le cose che si rompono e via dicendo. In pratica mi sembra che molte delle giornate si riducano a una corsa a ostacoli, in cui il tempo viene impiegato solo per assolvere al proprio dovere o per risolvere, quando possibile, problemi vecchi e nuovi.
Un tritacarne che in parte finisce col coinvolgere anche i bambini, costretti fin da piccoli a rispettare orari, acquisire competenze, ottenere dei risultati. Bambini ogni giorno esortati a fare questo e quello, e a farlo in fretta e possibilmente bene (anzi, “al meglio delle proprie capacità”, che poi è solo un modo più paraculo di dire la stessa cosa). Bambini obbligati a ritmi innaturali, a consuetudini contrarie al loro stesso istinto, a norme sociali del tutto relative, che a distanza di qualche decade, o di qualche migliaio di chilometri, sarebbero giudicate bizzarre, se non proprio esecrabili.
Qual è il senso, mi chiedo a volte in preda alla stanchezza (o piuttosto a una ritrovata e momentanea lucidità)? È questa la vita che vogliamo vivere, sapendo che non sappiamo quanto durerà e che in ogni caso non ne avremo un’altra per recuperare? È proprio questa, l’esistenza inscatolata e sintetica che vogliamo consegnare ai nostri figli, sperando che riescano a perseguire la propria felicità? Forse hanno ragione loro, i bambini, che tentano finché riescono di resistere ai nostri tentativi di costringerli e di imbrigliarli. Che “ci fanno impazzire” con la loro lentezza, con l’insubordinazione, con la reticenza a fare quello che noi ci aspettiamo che facciano, entro tempi che noi abbiamo deciso e nelle modalità che a noi sembrano consone.
Forse hanno ragione i bambini, eppure finirà che si arrenderanno. Che si piegheranno. Che diventeranno grandi e si rassegneranno a loro volta a una vita di obblighi e di scadenze, di bisogni indotti e di tempo sprecato. Come i loro genitori prima di loro, e così a ritroso per chissà quante generazioni. A volte vorrei prendere i miei figli e portarli via, ricondurli a una fantomatica società “ancestrale”, un posto in cui possano crescere scalzi, arrampicarsi sugli alberi, svegliarsi con il sole e correre a perdifiato sotto la pioggia. Vorrei liberarli, salvarli e magari, insieme a loro, salvare me stessa. Altre volte mi dico che finirò i miei giorni a fare finalmente ciò che voglio, in posti in cui mi fanno stare bene, a circondarmi solo di persone che gradisco. Non faccio che rimandare, in pratica, pur sapendo che il mio tempo è tutt’altro che infinito. Forse hanno ragione i bambini, ma io non sono abbastanza coraggiosa da starli a sentire.
3 Commenti
Io sogno di partire con il camper e non tornare più…ma poi mi dico…non è anche quella una schiavitù in fondo? Perché un mondo più ancestrale è comunque, volente o nolente, più limitativo. Alla fine vogliamo sempre qualcosa che non abbiamo…
Sicuramente hanno ragione i bambini…..e questo mondo che ci obbliga a fare tutto altro è districarci come meglio possiamo zoppicando….spesso in errori banali…dobbiamo fermarci di piu a dare retta a loro c è poco da fare è staremmo molto più tranquilli tutti.
Ps. Bel periodo di cacca x me ma vedo anche per altre….Ma questo non mi consola 🤨😤
Sono d’accordo anche io, bisognerebbe proprio avere da adulti dei ritmi più bambineschi.