Quante volte, da quando ho scoperto di aspettare il mio primo figlio, sono stata in ansia per cose che in realtà non lo avrebbero meritato? Quanto tempo ho passato a preoccuparmi di eventualità che non si sono poi verificate mai, per fortuna? Quante energie nervose sprecate a fasciarmi la testa prima del necessario? A fare congetture inutili, a prospettarsi scenari catastrofici?
Mio figlio ha parlato “tardi”: non avrà dei problemi gravi?
Sua sorella ha avuto un principio di bronchiolite quando era piccolissima: verrà su asmatica?
Lui non voleva togliere il pannolino, lei camminava coi piedi in punta. Lui ha fatto un inserimento difficile all’asilo, lei tuttora piange se io devo assentarmi.
I denti spuntati tardi, la febbre all’improvviso, troppa cacca o poca pipì. I pianti notturni senza spiegazione apparente (avrà un disturbo del sonno?), i difetti di pronuncia, le crisi di rabbia.
Sempre a farmi domande, col rischio di darmi risposte allarmistiche o esageratamente preoccupate. Sempre ad attribuirmi responsabilità, a prevenire le crisi, a cercare soluzioni prima del tempo.
A volte mi dico che esistono solo due tipi di genitori: quelli che tendono a minimizzare i problemi, a non vederli, a ignorarli anche di fronte alle apparenze. E quelli che li immaginano anche dove non ci sono. Che li ingigantiscono, che li esagerano un po’.
Non penso sia necessario precisare la categoria alla quale sento di appartenere io.
La verità è che il pre-occuparmi delle cose è solo il modo che conosco per affrontare la vita. Sarà forse una smania di controllo, una pretesa di onnipotenza. Ma per me ha sempre funzionato così. Io ho sempre funzionato così. È la mia natura, mi faccio domande continuamente, e continuo a cercare la risposta finché non trovo quella che in qualche modo mi convince, mi rassicura. Almeno per un po’.
Vorrei solo evitare di rendere i miei figli degli insicuri. Dei preoccupati cronici, degli ansiosi. Vorrei che la mia attenzione nei loro confronti non deragliasse mai nel terreno paludoso della morbosità. Che la mia presenza non diventasse ossessione.
Essere genitori è un balletto sulle punte in un prato ventoso, una passeggiata su una corda sospesa sul vuoto. Senza bilanciere. Una traversata transoceanica senza radar, e con una mappa al contrario. Sempre in equilibrio tra il troppo e il poco, tra l’amore e il bisogno, tra la libertà e le catene. La fatica più devastante e allo stesso tempo gratificante che abbia mai provato sulla pelle e nelle ossa.
1 Commenti
Mi riconosco in pieno nella tua descrizione, carissima mamma Green! 💟