E anche un papà, perché almeno in queste cose vige l’assoluta parità di genere.
Gli scaffali dei dolci alle casse dei supermercati
Ché tu ti illudi di essere salva. Ti senti pure una strafiga, perché sei riuscita a fare la spesa con uno o più marmocchi al seguito, senza fare danni nel reparto scatolame né scatenare intifade nella corsia dei surgelati. Ti avvii baldanzosa alla cassa, tra gli sguardi ammirati delle signore col carrello e la messinpiega e l’invidia delle altre madri coi figli urlanti aggrappati agli stinchi. E proprio quando pensi di avercela fatta, quando hai già tirato fuori i sacchetti per la spesa e la tessera fedeltà, compare lui: l’espositore malefico di caramelle, cioccolatini e snack. Il campo minato con bombe di zucchero, il paese dei balocchi in versione bonsai, le forche caudine del più latte e meno cacao. Dribblarlo è impossibile, puoi solo invocare gli dei del marketing e sperare che tuo figlio sia troppo distratto dal registratore di cassa.
L’apertura dei lecca-lecca
Forse, se non sono milionaria, è solo perché non ho ancora brevettato un sistema di apertura decente per i lecca-lecca. Al confronto, le scatolette di latta senza linguetta sono un gioco da ragazzi. Unghie, denti, coltellini svizzeri e napalm non vi saranno di alcun aiuto. Si narra che una miscela di coca cola, bicarbonato e fondi di caffè riesca a dissolvere l’involucro lasciando intatto il contenuto, ma l’informazione è stata secretata dall’ordine nazionale dei dentisti.
I distributori di palline con la sorpresa
Sono dappertutto. E devono mimetizzarsi in qualche modo con l’asfalto, perché compaiono a tradimento quando sei ormai troppo vicina per riuscire a schivarli. Fuori alle tabaccherie e ai negozi di giocattoli, ma anche alle pescherie, ai negozi di frutta e verdura, agli uffici postali e ai fiorai. Il segreto è quello di non cedere MAI. Se tuo figlio scopre che mettendo dei soldi in quegli aggeggi ne vengono fuori degli inutili e spesso pericolosi giocattolini di plastica, è la fine. Tanto vale iniziarlo alla pratica delle slot machine.
Le raccolte di figurine
Ai miei tempi, c’erano questi album di una ventina di pagine, tenuti insieme alla buona da un paio di punti metallici. La raccolta consisteva in un centinaio di figurine rettangolari, vendute in bustine da dieci pezzi l’una. La cosa più figa erano le immagini multiple, composte da due o più figurine (in seconda media avevo almeno sei doppioni della metà destra della faccia di Andrea di Beverly Hills). Adesso, scordatevi tutto questo. Una raccolta media di figurine consta di almeno 640 numeri. Ci sono quelle normali, quelle trasparenti, quelle fluo, quelle tridimensionali e quelle coi brillantini. Ci sono pure quelle fuori raccolta, senza numero, e, soprattutto, il capolavoro del millennio del marketing per l’infanzia. L’ossimoro degli adesivi, la contraddizione della colla pre-applicata: le figurine che non si attaccano. Mancano solo le carte delle Cioccorane di Harry Potter e siamo a posto.
Le zip con la doppia apertura
In teoria dovrebbero semplificare le cose, ma la verità è che le complicano oltremisura. Nella migliore delle ipotesi tu provi a chiudere da sopra e loro si aprono dal basso. Nella peggiore, si disallineano senza speranza e tu passi dodici ore a cercare di disincastarle e rimetterle nei binari. La cosa migliore, probabilmente, sarebbe liberare le felpe da questi strumenti del demonio e applicare la doppia zip ai lecca-lecca, e mi chiedo come mai non ci abbia ancora pensato nessuno.
La ludoteca con le palline
Ovvero l’equivalente contemporaneo di un girone dantesco. Luce artificiale, aria viziata, puzza di piedi e musica di dubbio gusto. Con bambini urlanti e sudati che sgusciano e saltano, e una concentrazione di germi che manco il carretto dei monatti nei Promessi Sposi. Come se non bastasse, c’è sempre quello piccolo che l’ha mollata nel pannolino, appestando l’aria già asfittica con olezzi mefitici. E tu sei lì a sperare per tutto il tempo che a sganciarla non sia stata tua figlia.
Le fascette di sicurezza nelle confezioni dei giocattoli
Ai miei tempi c’erano i fili con l’anima di metallo che si srotolavano con le dita. Ci perdevi un po’ di tempo, ma almeno te la cavavi. E potevi pure riutilizzare i gancetti per congelare gli avanzi. Poi hanno inserito dei fermi in plastica, che andavano svitati per riuscire a liberare il giocattolo dal suo imballaggio. Erano stretti ancora peggio delle conserve di melanzane che preparava mia nonna, ma con un po’ di olio di gomito si riusciva a sbloccarli. Infine è stata la volta degli accrocchi con le viti. E io, che ho già problemi enormi con le cose in blister, ogni volta ho bisogno di un’intera cassetta degli attrezzi di Ikea per riuscire a cavare il maledetto gioco dalla scatola. Il rischio è che, mentre tu sviti i centosettanta fermi che garantiscono l’incolumità di tuo figlio, lui rubi il martello grande dalla scatola degli attrezzi, con buna pace della sicurezza dell’intero condominio.
Le canzoni per bambini
L’ultima delle otto cose che mettono a dura prova una mamma sono le canzoni per bambini. Che non sono quelle a cui state pensando voi, che figli non ne avete ancora. Niente Zecchino d’Oro, niente sigle dei cartoni animati. Niente Cristina d’Avena. Ma l’intera produzione musicale di Rovazzi, J-Ax, Fedez e compagnia cantante – o sarà il caso di dire rappante? Che chissà per quale misteriosa ragione è stata eletta come repertorio ideale per bambini in età prescolare, compreso, ovviamente, il corredo di canne, maleparole e balletti demenziali. Dopo che tu hai impiegato anni per ripulire alla meglio il tuo lessico ed evitare che la prima parola di tuo figlio fosse “cazzo!”, col punto esclamativo. Ridatemi Mariele, che almeno lei era immune dal turpiloquio.
1 Commenti
Io ho minacciato i suoceri di denuncia e disconoscimento della nonna potestà se osano mettere dei soldi nei distributori di palline di fronte ai miei figli. Perchè nel tragitto asilo casa-casa asilo ne incontriamo a bizzeffe! E già ci fermiamo a tirare tutte e dico tutte le leve…se poi dovessi fare il mutuo per comprare le palline o farmi curare dallo stress del “no non te lo prendo” sarei fritta.