Non sono mai stata un tipo molto ambizioso. Mi è sempre piaciuto studiare, imparare cose nuove, risolvere problemi. Ma non ho mai pensato che la mia realizzazione potesse dipendere soltanto da un lavoro. Non ambisco alla fama, e rinuncerei al mio tempo libero – per leggere, per viaggiare, per guardare film e serie tv – solo per una situazione reale necessità. Il lavoro, per me, è sempre stato uno strumento, più che un fine. E per quanto riguarda le dinamiche familiari, a costo di risultare anacronistica ho sempre pensato che, almeno in linea teorica, sia raccomandabile che almeno uno dei due genitori (madre o padre, non fa differenza, meglio sottolinearlo) cerchi di essere più presente nel quotidiano, specie nei primi anni di vita dei figli. Se non proprio un part time o una professione autonoma, almeno un orario di lavoro non troppo prolungato. Non è sempre possibile, è chiaro. Ma se si può, la trovo una cosa sacrosanta. E le mie scelte professionali sono andate anche in questa direzione, visto che l’altra metà della coppia si è trovata ad avere un classico impiego con orario fisso e scarsa flessibilità.
Tutte queste premesse solo per dire che non sono una “malata di lavoro”, e che, un po’ per scelta e un po’ per caso, non posso certo definirmi una madre in carriera. Però per me è molto importante che i miei figli crescano sapendo di avere una madre che lavora. Poco o tanto, con successo o con fatica, guadagnando molti soldi o pochi spiccioli. A singhiozzo o con regolarità, da casa o in ufficio, di giorno o di notte. Poco importa, ma mi piace dare loro questo segnale. Lanciare un messaggio preciso. Mamma e papà lavorano, entrambi. Perché hanno studiato entrambi per imparare delle cose, perché hanno dei talenti e delle aspirazioni, perché hanno avuto dei mentori e hanno fatto sacrifici immensi, tutti e due. Perché ognuno di loro ha un contributo unico da dare alla società, al di là del ruolo già prezioso che esercitano in famiglia.
Ogni anno che passa, in questa mia vita precaria e senza certezze, tiro il fiato quando mi rendo conto che, ancora almeno per un anno, potrò raccontare ai miei figli che hanno una madre che lavora. Mi fa piacere quando loro mi imitano, mentre scrivo al computer o scatto delle fotografie. Quando si dicono l’un l’altra che “mamma ha guadagnato questi soldi facendo il suo lavoro”. Voglio che per i miei figli sia scontato che, dal punto di vista professionale, tra donne e uomini non deve esserci differenza. Che i maschi e le femmine non sono uguali, ma hanno le stesse identiche potenzialità sul lavoro, e dovrebbero avere gli stessi diritti e le stesse opportunità in ambito professionale.
Provo il massimo rispetto per le donne che hanno scelto di restare a casa, e una solidarietà incondizionata per quelle che non hanno avuto alternative. Ma ci tengo tanto a essere una madre che lavora. Non tanto e non solo per la mia realizzazione personale, ma perché penso che in Italia, specialmente dove vivo io, ci sia ancora il disperato bisogno di dare questo messaggio: che le mamme lavorino è una cosa del tutto normale. Normale e sacrosanta. Che lavorare non è di certo un dovere, ma è un diritto di tutte le donne. E delle mamme. Che una donna, esattamente come un uomo, non è il lavoro che fa, ma dovrebbe poter esprimere se stessa anche attraverso il suo lavoro. Che nessun uomo dovrebbe poter ricattare una donna solo perché lei non ha un reddito proprio, e nessuna donna dovrebbe restare accanto a un uomo solo perché altrimenti non avrebbe di che pagare i conti.
Non so fino a quando riuscirò ad avere un impiego (e delle entrate) più o meno soddisfacenti. A volte non riesco davvero a immaginare cosa farò fra 5 o 10 anni, e per la natura stessa della mia professione mi aspetto anni difficili e periodi di sottoccupazione, come del resto ce ne sono già stati. Ma dal canto mio farò sempre il possibile perché i miei figli crescano sapendo di avere una madre che lavora.
2 Commenti
sono d’accordo con te sul messaggio da dare ai figli. mia figlia ha sofferto molto il mio lavoro. io ho scelto per anni di avere più turni notturni per potare stare al pomeriggio con loro eppure quando alla sera mi vedeva andare via erano spesso tragedie. ma quando un giorno mi si è prospettata l’occasione di cambiare lei è stata la prima ad opporsi. lei mi identifica con il mio lavoro e dice che da grande vuole essere una dottoressa. “come la mia mamma”…
[…] quando sono nati i miei figli, ho sempre avuto la fortuna di lavorare (ad eccezione di un periodo di stop dopo la nascita di Flavia). Un lavoro autonomo (Partita Iva), […]