All’inizio sei tu che cambi odore mentre vedi il tuo corpo trasformarsi un giorno alla volta. La pelle, il sudore, i capelli. Le lacrime. Una chimica diversa, il sangue nuovo, un flusso di ormoni che ti travolge dall’interno.
Poi ti mettono tra le braccia un essere umano piccolissimo, e tu, istintivamente, lo annusi. Nessuno ti ha consigliato di farlo, non lo hai letto sui forum per future mamme e non te lo hanno insegnato al corso pre-parto. Lo fai e basta, che tu sia raggiante o terrorizzata, esausta o piena di energia. Annusi la testa di tuo figlio e senti, in qualche modo, che quell’odore ti appartiene. Lo riconosci, lo imprimi per sempre nella tua memoria sensoriale. Non è detto che questo ti renda felice, che ti piaccia, che ti faccia sentire a tuo agio. Anzi. Ma il tuo cervello registra quell’odore e lo archivia sotto la voce “sono una madre, e lo resterò fino all’ultimo dei miei giorni”. Il dado è tratto, non si torna più indietro.
Passa il tempo, e quell’odore assume carattere, identità, spessore. Si confonde con la schiuma del bagnetto e con la pomata per il cambio, ma resta lì, inconfondibile, quasi materiale. Sa di latte e di sbadigli, di tepore, di pelle nuova. Sa di tana. Somiglia all’odore del sonno appena spezzato, quando fuori fa freddo e indugi ancora cinque minuti con la testa tra le coperte tiepide.
È acre e dolcissimo insieme, ha un retrogusto di tempo che passa e di cose impastate nella fatica quotidiana, nell’impegno, come un pane massaggiato con le dita e con i gomiti, le maniche scorciate e la farina che sbuffa ovunque. Ti appartiene, ma non è tuo. È diverso dall’odore che ti porti addosso, eppure senti che c’è dentro qualcosa di te. Diventa inconfondibile. Quando un estraneo ti restituisce tuo figlio con addosso il suo profumo, tu te ne accorgi subito. È quasi fastidioso, una impercettibile profanazione, un piccolo oltraggio da lavare via con delicato rispetto.
Passa altro tempo, e quell’odore si fa conforto. Nelle notti insonni e nei giorni duri. Nella fatica e nella solitudine. È a quell’odore che fai appello quando nient’altro di tuo figlio ti sembra familiare, quando il suo pianto incessante ti massacra i timpani, quando il peso del suo corpo sulle tue braccia stanche diventa un fardello insostenibile. Quando puoi solo stringerlo a te e sperare che passi. Che smetta di urlare, che si addormenti e ti permetta di riposare. Stringi tuo figlio e senti l’odore della sua pelle, dei suoi capelli sottili, del suo pianto salato. Il suo odore, mescolato al tuo e a quello di suo padre, alla vostra stanchezza e alla paura di non farcela.
Nei mesi e negli anni, quell’odore cambierà molte volte. Saprà di cose disgustose o buonissime, saprà di sudore, di pannolini sporchi, di pappa e di crema solare. Di terra e di cioccolato, di fango, di erba e di colori a tempera. Saprà di malattia e di felicità. Saprà di pubertà, di rabbia, di eccitazione. Di amore e di amicizia, di adrenalina e di paura. Saprà, a un certo punto, dell’odore di altre giovinezze, e sarà insieme meraviglioso e terribile. Ma conserverà quella nota originaria che ti è entrata nel naso, senza più uscirne, quando te lo hanno messo in braccio la prima volta. Quell’odore che non è tuo, ma che un poco ti appartiene.
6 Commenti
piango….
odoro sempre I miei figli. e loro odorano me. addirittura mia figlia maggiore odora me e suo fratello e anche quando non ” profumiamo” lei dice che siamo noi. istinto…
Siamo animali, nel senso migliore del termine!
Che commozione, sei bravissima, dovresti scrivere un libro. Intanto io mando link dei tuoi post ad amiche neo mamme e alla mia mamma rimasta a Pomigliano dove sono cresciuta. Magari ci si incontra in villa con i pargoli…
Ma grazie, Paola, volentieri! Scrivimi una mail quando torno a casa!
É vero anche io adoro il suo odore……
🙂