C’era una volta una giovane donna, che un mattino qualsiasi scoprì con grande gioia di aspettare il suo primo bambino. Le cose andarono subito per il verso giusto, ma la nausea le guastava le giornate e la stanchezza le sembrava la peggiore che avesse mai dovuto fronteggiare. “Speriamo che il primo trimestre passi in fretta, dopo dovrei sentirmi meno affaticata”, pensava lei tra uno sbadiglio e l’altro. E così le settimane passarono insieme alle nausee, ma la mamma in attesa si trovò suo malgrado a fare i conti con il mal di schiena, l’incontinenza e i crampi notturni. Era bello sentire suo figlio che scalciava, ma nei momenti di stanchezza avrebbe voluto soltanto accelerare le lancette dell’orologio, staccare le pagine del calendario a due a due. “Non vedo l’ora di arrivare in fondo”, pensava massaggiandosi i lombi. L’ultimo trimestre di gravidanza, però, fu il più faticoso di tutti. La pancia, l’insonnia, il gonfiore. “Vorrei solo partorire al più presto”, diceva la futura mamma a tutti quelli che incontrava. Alla fine salutò i primi dolori del travaglio quasi come una liberazione, pregando che tutto andasse bene. E che durasse il meno possibile, naturalmente.
Quando l’ultima spinta le restituì il suo bambino, lei pianse di gioia e di sollievo. “Vorrei che questo momento durasse per sempre”, si disse, ma quando qualcuno le mise il neonato al seno trovò che fosse piuttosto doloroso, e allora sperò che quella sensazione passasse quanto prima. Ci vollero alcune settimane perché allattare non facesse più male, però restare sveglia la notte era davvero estenuante. Al confronto, il ricordo dei primi mesi di gravidanza le sembrava una specie di cartolina dalle terme. Ogni notte, la giovane madre sognava il momento in cui suo figlio sarebbe stato finalmente capace di dormire una notte intera, da solo, nel proprio lettino. Quando, mesi dopo, quel momento arrivò, la donna si rese conto che le cose da aspettare prima di riuscire a ritrovare un po’ di libertà erano ancora tante. I primi passi, le prime parole, il vasino, la scuola materna.
“Ci credi?”, diceva anni dopo alle mamme degli amici di suo figlio, “ancora qualche anno e poi cominceranno a uscire da soli”. Ci sarebbe stato ancora da accompagnarli e recuperarli a fine serata, certo. Ma solo fino all’agognata patente. Di lì a vederlo, adulto, pronto a costruirsrsi finalmente una vita tutta sua, sarebbe stato un passo. Quando il ragazzo ottenne il diploma, sua madre pianse d’orgoglio. Fu emozionante, nei mesi successivi, aiutarlo nei preparativi del trasferimento in una celebre città universitaria. Il giorno in cui le toccò accompagnarlo alla stazione, lei non riuscì a trattenere le lacrime. “È naturale”, pensò asciugandosi le guance salate. “È inevitabile”.
La rivelazione la colse di sorpresa soltanto più tardi, mentre guidava da sola verso casa. L’attesa non si era conclusa. L’attesa, in realtà, non sarebbe finita mai. Dopo aver aspettato per metà della propria esistenza che suo figlio crescesse e se ne andasse per il mondo, avrebbe passato l’altra metà ad aspettare di vederlo tornare. Varcare la soglia di casa per un’ora o per qualche giorno. Tornare a chiamarla col nome che lei aveva avuto soltanto per lui.
“Perché una madre è una donna in attesa, per quaranta settimane e per il resto della sua vita”, pensò rientrando nella casa tranquilla. Poi guardò senza pensare la vecchia foto incorniciata nell’ingresso. Ritraeva se stessa quasi vent’anni prima, con suo figlio appena nato tra le braccia. Lei la vide, come aveva fatto ogni giorno per metà dei suoi anni, solo che quella volta non si riconobbe. Squillò il telefono. Lei sperò che fosse suo figlio.
19 Commenti
Ecco, come al solito mi hai fatto commuovere! Bellissime parole, bellissimo post. Grazie.
Grazie a te :*
Quant’è vera questa cosa…..
L’ho letto tutto d’un fiato…bellissimo
:*
Grazie
A te!
…ed ecco che piango… grazie… bellissimo post
Splendido e commovente!
Quanta verità. ….
Bellissimo Post! L’attesa non passa mai!
A proposito!! Come procede?
Al passo “cartolina alle terme” mi sono dovuta trattenere per non sbottare in una fragorosa risata
😀
Leggo sempre volentieri quello che scrivi..ma oggi mi hai fatto commuovere! Complimenti da una mamma Pomiglianese;)
Grazie mille.
Io ho il problema opposto… l’angoscia del tempo che passa veloce, inesorabile, il costante desiderio di fermare le lancette e l’ossessione di cogliere e assaporare ogni attimo… la consapevolezza che il momento in cui mio figlio, divenuto adulto, si staccherà – come giusto – da me sarà sempre crudelmente troppo presto…
In fondo è un’attesa pure quella…
Verissimo! Cerchiamo di goderci ogni giorno, bello o brutto che sia perché npn tornerà indietro 😉