Marcovaldo

Quando ero piccola, a primavera, qualche volta raccoglievo i nidiacei che restavano vivi dopo una caduta, tentando di salvarli beffando la selezione naturale. Passeri e rondoni, per lo più. In pochissimi ce la facevano. Per un certo periodo, invece, coi miei amici del quartiere abbiamo messo su un allevamento di chiocciole. Sapevamo tutto del loro ciclo vitale, e ognuno di noi era in grado di riconoscere ogni singolo esemplare della nostra piccola popolazione.

Una sera di primavera di tanti anni fa, poi, ho raccolto con mio padre un giovane pipistrello sperduto. Aiutarlo a riprendersi e guardarlo spiccare il volo nel crepuscolo è stata un’esperienza indimenticabile. Come la prima volta che ho sentito l’odore della morte, proveniente da uno dei gatti randagi della colonia che vive sotto casa. Un olezzo dolciastro e  penetrante, che non avrei più dimenticato.

Le lucertole e i gechi li difendevo dagli assalti dei bambini più spietati, mentre con le formiche l’infame, qualche volta, ero io. Merli e piccioni, durante la mia infanzia, erano comparse quotidiane. Tanto da lasciarmi indifferente. Funghi e topolini, bacche e calabroni. Non così i pettirossi, che più raramente facevano capolino zampettando.

Quello che voglio dire è che quando ero piccola l’esperienza della natura era per me un fatto ordinario, assodato. Un fatto normale. In una cittadina di 40mila abitanti, nel mezzo di uno dei territori più urbanizzati d’Europa.

Mi chiedo se adesso, dopo 30 anni e in un mondo diverso, basterà uno sforzo da parte nostra per ricordare ai nostri figli che la natura è sotto i loro occhi, sempre e comunque. In un ciuffo d’ortica e in un nido di vespe. Nella tela di un ragno e in un fungo solitario. Sogno una generazione di piccoli Marcovaldo alla ricerca della natura di città.

Altrimenti, non so proprio come potremo salvarci.

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2 Commenti

Lucia Malanotteno 12 Gennaio 2015 - 10:44

Come capisco questo post! Io vivo nella provincia più provincia. L’Umbria è associata al verde da molti, e la mia città per quanto sia la terza della regione è piccola (i 60000 abitanti che ha sono per buona parte in montagna!) Eppure con mio marito abbiamo deciso di trasferirci verso la campagna. Perchè nonostante questo ci sono problemi di inquinamento che mi fanno arrabbiare (come si fa? Si arriva ovunque a piedi o in bici!), perchè non c’è così tanta natura in troppi quartieri, perchè è difficile trovare un campo di girasoli (quando ero piccola mi bastavano 5 minuti per passeggiarci!). Forse esagero ma io sono cresciuta fuori, all’aperto e vorrei che anche mio figlio potesse!

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Bart 12 Gennaio 2015 - 15:25

Anche su questo punto abbiamo qualcosa in comune! 🙂
Cresciuta in una città di 100.000 abitanti, circondata però dalle campagne, ho trascorso la quasi totalità della mia infanzia all’aperto scorrazzando tra strade periferiche e viottoli in cerca di animali da salvare – i quali, molto spesso, non avevano alcun bisogno né intenzione di essere aiutati!!! – nonché arrampicandomi su alberi, muretti e qualsivoglia di verticale incontrassi sul mio cammino. Anch’io avevo un allevamento condiviso con un amico ma di lucertole, che catturavo con una velocità e perizia notevoli, osservavo crescere e riprodursi quindi liberavo.
Diventata adulta e presa dagli impegni di studio, ho temporaneamente soffocato la mia innata attrazione verso la natura e le sue meraviglie… e il fatto di dover frequentare l’università a Milano, città oltremodo deprimente (naturalisticamente parlando), non ha certo aiutato un ritorno di fiamma. Che però è inesorabilmente avvenuto qualche anno dopo quando, con mio marito, ho riscoperto e rafforzato il mio amore per fauna e flora in generale. Da qui i libri di botanica, i viaggi in Africa, il birdwatching, le proteste animaliste… Anche noi abbiamo avuto l’occasione (e il privilegio) di salvare cani, gatti, innumerevoli insetti e aracnidi, rondoni, merli, passerotti… anche se, come abbiamo appreso da un attivista LIPU, salvo rare eccezioni e se non ci sono pericoli imminenti i piccoli caduti dal nido non vanno MAI presi e portati via, bensì lasciati sul posto dove i genitori torneranno a prendersene cura. Poi è stata la volta anche per noi del pipistrellino, rimasto chiuso accidentalmente nell’armadietto portascope sul balcone e trovato dalla nostra gatta, che ho premurosamente reidratato facendolo bere tramite un cotton-fioc imbevuto d’acqua e aiutato a riprendere il volo. Poi c’è stato il rospo, la cui zampetta era rimasta incastrata in una grata nel cortile e che, dopo averlo scaldato fra le mani, ho liberato in una risaia. E per ultimo la nutria, trovata nel giardino del nostro condominio, per la cui gestione (era terrorizzata e potenzialmente pericolosa) abbiamo dovuto rivolgerci ai vigili del fuoco che l’hanno catturata e rilasciata in un canale limitrofo.
Ora che ho un bambino di quasi sei anni, trasmettere l’amore per la natura e ciò che ho imparato nel corso degli anni non è solo un’esigenza, ma è diventato via via un piacere irrinunciabile… Gli abbiamo insegnato l’osservazione paziente e rispettosa, e che non esistono alberi e uccellini ma liquidambar, liriodendri, codibugnoli… ogni essere ha un suo nome e caratteristiche specifiche, ed è incredibile scoprire quanta biodiversità possa esistere nel proprio giardino o nel parco cittadino. Cresciuto con i nostri racconti e le foto della savana, alla tenera età di tre anni spiegava pazientemente al nonno che la “gazzella” vista nella foto su un giornale era più correttamente definibile quale kudu! Quando andiamo al mare in Sardegna, snobbando la bella casa dei miei suoceri di fronte alla Maddalena, ci rifugiamo in uno spartano agriturismo dove il nostro cucciolo sperimenta in libertà il contatto ravvicinato con la natura e gli animali, dal farsi camminare addosso grilli e mantidi al presenziare, perché no, allo squartamento del maiale che mangerà a cena (ha deciso di mangiare la carne e dunque ci sembra giusto assecondare la sua curiosità, decisamente scientifica e per nulla macabra, di sapere come avvenga la macellazione). Non solo non si è sconvolto per la scena cruenta, alla quale io stessa non mi sono sentita in grado di assistere, ma, nonostante sia sempre stato uno strenuo difensore degli animali di tutti i generi (e guai a torcere un pelo o un’antenna in sua presenza!), sembra abbia in qualche modo accettato anche l’esistenza della morte nel ciclo naturale della vita…
In definitiva la natura per me è Dio, ed è fonte di infinita bellezza. Come dici giustamente tu, è anche salvezza, probabilmente la nostra unica via di salvezza dalle bruttezze di un’umanità sempre più disumana. Dal suo contatto cerco serenità, rifugio, ispirazione e talvolta consolazione… e questa è forse l’eredità più importante che lascerò a mio figlio, e che spero contribuisca a rendere più ricca, emozionante e poetica la sua vita.

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