Quella in corso è la International Babywearing Week 2013, la Settimana internazionale del portare. Come portare cosa? I bambini, ovvio! Ma come dove?? Nelle fasce, nei mei tai e nei marsupi ergonomici! Da brava mamma canguro, io adoro portare BigD nel fantastico “carrier” ergonomico che ci hanno regalato i nostri amici prima che lui nascesse. Anche se non sono una irriducibile di questo sistema, lo trovo molto pratico, divertente, ma soprattutto mi pare che sia il modo più naturale per portare a spasso un bambino piccolo. Quello più istintivo. Da millenni, del resto, tutte le popolazioni del mondo fasciano e portano i bambini su di sé, mentre passeggini e carrozzine sono un’invenzione recente, e prettamente occidentale. I nostri “cugini” primati, poi, trasportano su di sé i piccoli per molto tempo, come probabilmente hanno fatto per secoli le antenate preistoriche delle femmine di Homo sapiens.
Stare pancia a pancia, cuore a cuore, pelle a pelle, rassicura e contiene, scalda e conforta. Fa passare il mal di stomaco e la stanchezza, concilia il riposo e riporta alla mente il ricordo dolcissimo dell’esistenza intrauterina. Per la mamma, poi, è quasi come essere di nuovo in attesa, ma senza le nausee, i piedi gonfi e l’acidità di stomaco! Un’esperienza che naturalmente è alla portata anche di tutti i papà, che in questo modo, secondo me, possono stabilire con il neonato l’intimità che la mamma sperimenta già con l’allattamento.
C’è “portabimbo” e “portabimbo”, naturalmente. I marsupi tradizionali, quelli che permettono di tenere il bambino anche fronte strada, per intenderci, non mi convincono del tutto. Mi sembra che il piccolo viaggiatore sia in un certo senso “appeso” al corpo del genitore, distaccato da chi lo porta, precario nel suo equilibrio in movimento. Come una tartaruga che si rovesci accidentalmente sul proprio carapace. Preferisco l’approccio più intimo dei mei tai o delle fasce portabimbo, e il mio rimpianto più grande in materia di babywearing – a proposito, non trovate anche voi che sia un’espressione potentissima, “Indossare il proprio bambino”? Capovolge il punto di vista, rende il bimbo il vero protagonista dell’azione, piuttosto che un oggetto passivo del trasporto – è quello di non avere avuto a disposizione una fascia per le primissime settimane di vita di BigD (ho cominciato a portarlo verso i due mesi). Sono certa che gran parte del disagio legato alle cosiddette “coliche gassose” poteva essere risolto semplicemente tenendolo stretto a me. Ancora più stretto e ancora più a lungo.
Errori di inesperienza, cui spero di porre rimedio con un eventuale secondo figlio. Errori causati anche dal pregiudizio degli “altri” e dagli immancabili consigli non richiesti: “Guarda che lì dentro lo fai sudare!” “Così lo vizi, è come tenerlo sempre in braccio…” “Vuoi che venga su un mammone, tenendolo sempre appiccicato a te?”. Pazienza. C’è sempre tempo per rimediare. E in attesa di sfruttare il nostro Tula anche in inverno, grazie all’apposita copertura che ho appena preso su Amazon, buona settimana dei canguri a tutti!
Per maggiori informazioni sui benefici del portare e su come farlo in sicurezza, consultate il sito Babywearing International.
Bibliografia:
Esther Weber, Portare i Piccoli, Il Leone Verde (collana Bambino Naturale), 2013. Maggiori informazioni qui.