L’amicizia ai tempi della maternità

Diventi mamma, all’improvviso – anche se hai passato nove mesi ad aspettarlo, tuo figlio, è pur sempre un cataclisma – e quello che era sempre stato normale, ordinario, più o meno facile, diventa nuovo e complicato.

Metti l’amicizia, per esempio.

Ci sei tu. Che non sai bene chi sei, cosa vuoi, cosa sai. Anche se nei momenti migliori ti sembra di riconoscerti, da qualche parte nascosta sotto la confusione, la stanchezza, le sorprese e l’emozione che ti coglie quando tutto il resto arretra. Ci sei tu, che devi imparare tutto, e magari ti vergogni dei tuoi sbagli, dei tuoi limiti. Delle cose che prima avevi ritenuto facili e che invece adesso non ti riescono bene, per quanto ti sforzi fino a farti dolere il cervello e lacrimare gli occhi. Ci sei tu, che magari non sei la madre che ti aspettavi, e che forse si aspettavano i tuoi amici. Che ti senti tradita da te stessa, perché non ti comporti come avevi previsto di fare, perché sei cambiata senza preavviso. Che hai disatteso in qualche modo le aspettative tue e non solo le tue. E allora hai paura di mostrarti, di rivelarti, di esprimerti. Perché se neanche tu sei più in grado di capire te stessa, di perdonarti, di amarti; se neanche tu stessa sei sicura di riconoscerti e di piacerti ancora, come potranno mai capirti gli altri? Come potranno amarti, adesso che sei cambiata in un modo così inatteso?

Ci sei tu, e c’è tuo figlio. Che magari è diverso da come lo avevi immaginato, che ha bisogno di cose che tu non avevi previsto, nonostante i corsi, i libri, i forum online. Che a volte stenti a capire, anche se l’hai portato dentro e partorito e allattato ogni giorno da quando è nato. C’è tuo figlio, che costa fatica. E richiede un impegno spasmodico e ininterrotto. E piange, e puzza, e urla e pesa e non dorme mai. Che non è come tu e i tuoi amici davate per scontato che siano i bambini, prima. E forse non è neanche così bello come pare che siano tutti i neonati del mondo. E se non sei in grado di capirlo tu, quel bambino che è sangue del tuo sangue; se a te stessa costa grandi sforzi, a volte, sopportare il suo pianto che sembra non conoscere ristoro, come potranno amarlo gli altri, che magari figli non ne hanno e neanche ne hanno mai voluti?

Ci sei tu, c’è tuo figlio e c’è suo padre. Che forse è più stanco di te, e quando vostro figlio dorme vuole solo silenzio e pace. Che si è trovato travolto quanto e più di te, e vorrebbe solo imparare a conoscere il bambino che avete fatto insieme. Ma ha bisogno di tempo, di tranquillità. Di fiducia. E non riesce ad avere persone intorno. Anche se le ama. Che trova conforto ed evasione nel lavoro, e magari non coglie fino in fondo la solitudine della sua donna, che il lavoro lo ha lasciato – temporaneamente o meno – per occuparsi del neonato.

Ci sei tu, c’è tuo figlio, c’è suo padre. E ci sono loro, i tuoi amici e le tue amiche. Che magari non sono genitori, oppure sono genitori molto diversi da te. O ancora non lo saranno mai, perché i bambini non fanno parte del loro progetto di vita. Che ti hanno conosciuto e amato per quello che eri prima, e non è detto che continuino ad amare quello che sei adesso. Che prima condividevano le tue certezze su come si crescono i figli e su come dev’essere un genitore, solo che ora tu non ne hai neanche una, di certezze residue. Perché le hai sovvertite tu stessa. Le hai sgretolate. Polverizzate di fronte a tuo figlio, che ti ha pretesa nuova e disperatamente sua. E hai paura di averli delusi, traditi, offesi, quegli amici che ti immaginavano diversa. Che il riflesso di te che rimandano i loro occhi sia inaccettabile per te stessa, e quindi anche per gli altri.

Ci sei tu, c’è tuo figlio, c’è suo padre, ci sono i tuoi amici e le tue amiche. E ci sono la stanchezza, il sonno, il lavoro, i soldi. La difficoltà, a volte, di incontrarsi a metà strada, di tendersi la mano, di aspettarsi a vicenda. Ci sono la pigrizia, la diffidenza, la paura. La fragilità e gli errori reciproci. Silenzi assordanti e parole di troppo. Cose non dette e cose che sarebbe stato molto meglio tacere. Nodi che forse erano stati stretti molto tempo prima, e che adesso non si riesce più a sciogliere neanche a tirare con le unghie da una parte e dall’altra.

Poi c’è il tempo che passa e ti restituisce te stessa.

A volte anche gli amici, altre volte no. Ma anche questo è la vita. Annodare l’ennesimo ombelico e andare. Senza rimpianto, senza rimorso, senza rancore.

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3 Commenti

carla 27 Giugno 2017 - 10:08

Non so come fai, ma riesci a tradurre con le parole esattamente come mi sento! Leggo commossa…

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Giulia 27 Giugno 2017 - 22:40

Penso la stessa cosa…é commovente questa incalzante sintesi perfetta

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Silvana - Una mamma green 5 Luglio 2017 - 08:59

Grazie, Carla!

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