Educare alla “disobbedienza”

educare alla disobbedienza

Confesso che proprio non lo avevo messo in conto. Mai mi sarei aspettata, qualche anno fa, di trovarmi a dover dirigere i miei sforzi di genitrice (ed educatrice) in senso contrario rispetto a quello che di norma si pensa di dover fare quando si tenta di educare un bambino. Mai avrei pensato, in altri termini, di dover aiutare uno dei miei figli a essere un po’ più flessibile e indulgente nei propri confronti, un po’ meno preoccupato del rispetto delle regole, meno intransigente e rigido. Un po’ meno a simile a sua madre, per dirla in poche parole.

Quando pensiamo all’educazione di un figlio, del resto, tendiamo a concentrarci sempre sugli aspetti più “censori” e normativi dell’intera questione: nell’immaginario comune, un educatore è semplicemente colui che deve insegnare il rispetto delle regole, stabilire dei limiti di comportamento, imporre dei divieti e trasmettere un codice di norme condiviso e indispensabile per la vita di comunità. Eppure, la mia duplice e personalissima esperienza dimostra che può essere vero anche il contrario, e che puoi trovarti di fronte a un bambino che mostra una tendenza (innata, indotta o entrambe le cose insieme, chi può dirlo) a interpretare e applicare le regole con eccessivo rigore, col rischio paradossale di trovarsi in difficoltà tanto quanto chi le norme e le buone maniere preferisce di solito ignorarle.

Tu, allora, da madre e da educatrice (nonché da persona che convive da quasi quarant’anni con la stessa morale ipertrofica di tuo figlio) non puoi fare altro che improvvisare, come sempre, e cercare di accompagnare il tuo bambino sul terreno scosceso del buon senso, del compromesso, della ragionevolezza e dell’accettazione dei propri limiti. Della leggerezza. Quel terreno che tu stessa non hai mai esplorato fino in fondo e che, anzi, praticamente non conosci. Ma non vuol dire anche questo, a volte, fare il genitore? Insegnare cose che di fatto ignori, scortare i tuoi figli lungo sentieri che non hai mai inforcato prima?

Confesso che per me, che per l’appunto tendo a prendere le cose troppo sul serio, si rivela talvolta una operazione complessa. Specie se nel contempo hai la responsabilità di un altro figlio (una figlia, nel mio caso) che ti espone a sfide molto più tradizionali, e per le quali il tuo ruolo di educatore non può che declinarsi in maniera distinta e personalizzata. Non è semplice indirizzare uno dei tuoi figli al delle regole, mentre, allo stesso tempo, tenti di aiutare suo fratello a spogliarsi della sua estrema rigidità. E farlo mantenendo un minimo di coerenza e credibilità. Non è semplice introdurre un bambino di neanche 7 anni alla sottile arte del compromesso salvifico e delle eccezioni indispensabili, e allo stesso tempo convincere la sua più flessibile sorellina che il valore intrinseco di una eccezione sta, per l’appunto, nella sua rarità.

A volte mi capita di pensare con tenerezza alle fatiche “fisiche” dei primissimi anni di maternità, che il mio corpo tollerava forse meglio di quanto la mia mente non sembri riuscire a gestire, oggi, lo sforzo nervoso, emotivo e psicologico che richiede l’educazione di un figlio. O, come nel mio caso, di due figli, per giunta tanto diversi tra loro. È una sfida molto stimolante, però, soprattutto perché si alimenta con un materiale umano – Davide e Flavia – davvero straordinario e dal potenziale immenso, come tutti i bambini piccoli del mondo.

La sorpresa quotidiana del crescere un figlio passa anche da questo: educarlo, a volte, a un pizzico di “disobbedienza”.

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