Passi anni e anni a inorridire, a scandalizzarti, ad argomentare. Ad aggrottare la fronte e – diciamolo pure senza censure – a giudicare, biasimare, commiserare. Poi arriva il giorno in cui il bambino che strilla e scalcia di fronte a un diniego, che corre senza che nessuno riesca a tenerlo per mano, che ignora sistematicamente i richiami degli adulti non è il figlio di una sconosciuta da guardare con supponenza, ma è il tuo. Arriva il giorno in cui prendi atto che tuo figlio, tra tutti i bambini che frequenti, è quello che non sta mai fermo, che rifiuta categoricamente di tenere in testa il berretto, che protesta quando gli lavi le mani o gli pulisci il naso, che talvolta reagisce con rabbia incontenibile (scagliando oggetti, strepitando e tirando schiaffi che non ha mai visto dare) di fronte a un no.
Che lui è quello che strappa regolarmente di mano il giocattolo di turno al bambino di turno (che in genere arretra arrendevole e avvilito), che insegue il pallone altrui nella piazza di turno, che rifiuta con ostinazione di lasciarsi baciare, toccare, talvolta anche solo salutare con un “ciao”, dall’adulto di turno. Guardi la foto di compleanno di un’amichetta di tuo figlio e realizzi all’improvviso che lui è il solo che non indossi il cappellino a cono di cartone (e ricordi bene di aver tentato per un quarto d’ora, con ogni mezzo, di convincerlo a tenerlo su). Gli altri bambini guardano i cartoni animati, tuo figlio li recensisce tacitamente con un senso critico che manco Vittorio Sgarbi, reagendo di solito alle prime scene con un “no” sdegnato (la prima e unica parola che abbia mai pronunciato in 19 mesi di vita) e con la pressante richiesta di cambiare canale. Ma tanto non gli piace quasi niente di quello che la tv in chiaro e in abbonamento mandino in onda.
Tuo figlio, la persona che ti ha rapito il cuore, quel piccolo essere umano che ti ama nel modo più viscerale che tu abbia mai sperimentato, capace di slanci disarmanti e di tenerezze indicibili, somiglia in modo inquietante a uno di quei bambini che “prima” avresti fulminato con uno sguardo al vetriolo (liquidando ovviamente la sua sconosciuta madre come una perfetta incapace, un’idiota o una ignorante). E che molti dei tuoi parenti e amici non esiterebbero tuttora a inchiodare alla croce del proprio giudizio (viziato, maleducato, mammone, capriccioso e chi più ne ha più ne metta).
A quel punto, la consapevolezza si estende e ti rendi conto di aver capito troppo tardi una serie di altre cose fondamentali.
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Quelli che la gente chiama “bambini” non sono strane creature di dimensioni contenute, né extraterrestri con gli occhi molto grandi, né relitti di una specie animale ormai estinta. Sono persone, per quanto molto giovani. E in quanto tali sono dotate di una propria personalità – magari non ancora ben definita, e forse destinata a modificarsi anche profondamente – ma comunque indipendente e strutturata. Hanno preferenze, attitudini, gusti, paure, idiosincrasie, desideri. Proprio come te. Solo che non hanno ancora imparato a contenersi, a mediare, a rinunciare. Ci sono i bambini pigri e quelli molto attivi, quelli timidi e quelli socievoli, quelli timorosi e quelli intrepidi. Ci sono bambini estremamente passionali, capaci di reazioni smodate – siano esse di entusiasmo o di panico, di rabbia, di sorpresa o di gioia assoluta – dinanzi alla vita (e non sarà difficile capire che mio figlio è uno di loro) e quelli imperturbabili, che osservano con apparente indifferenza ciò che accade intorno a sé. Ci sono bambini silenziosi e altri che parlano, piangono e strillano tanto. Bambini irruenti e altri più delicati, bambini prevaricatori o remissivi. E queste sono caratteristiche che la vita, le esperienze (e i genitori) potranno tentare di smussare, arrotondare, addolcire, ma che niente e nessuno riusciranno mai a modificare significativamente.
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Corollario del punto precedente: non tutto quello che un bambino dice o fa discende direttamente da quello che i suoi genitori hanno detto o fatto a lui e con lui. Non tutto può essere liquidato, specie se parliamo di bambini molto piccoli, come “cattiva educazione”, “essere viziati” o simili. Conosco fratelli, in qualche caso anche gemelli, cresciuti dagli stessi genitori eppure diversi come il giorno e la notte. Persone “educate” in modo rigidissimo che sono poi diventate adolescenti ribelli e adulti anticonformisti.
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Corollario del corollario: questo non vuol dire, ne sono convintissima, che si debba cercare di fabbricarsi degli alibi per lavarsene le mani, che si possa mollare la presa, che in nome del rispetto della personalità dei propri figli si debba rinunciare a “inquadrarli”, indirizzarli, educarli. Ma forse sarebbe utile ricordare che una madre e un padre non sono onnipotenti. E il fatto che il loro bambino si comporti “male” (oppure in un modo che qualcuno giudica sbagliato) non significa che loro non stiano facendo di tutto per insegnargli ad agire diversamente.
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Tesi conclusiva: mai giudicare un genitore. Mai giudicare un bambino. Mai giudicare una famiglia. Mai giudicare e basta. Perché prima o poi potresti trovarti a dover giudicare te stesso, e probabilmente non sarebbe un’esperienza piacevole.