“Zzzzzzzzz. Ronf ronf…”
“Che dici? Provo a metterla un po’ sul letto? Dorme profondissimamente…”
(“Zzzzzzzronfzzzz”)
“Buona idea. Supina, mi raccomando. E magari lasciala un po’ inclinata, visto che è ancora piena di muchi…”
“Ecco qui, amore, piano piano… Così dovresti stare comoda, e io resto comunque accanto a te.”
“Zz…Gg…Nghè..Uà Ueeeeee Nguèèèèèèèèèè”
“Ok, ti tiro su, calmati!”
“Ue…Zzzzzzzzronfzzzzzzronfzzzz”
“Mammmmma!”
“Sì, amore mio caro, ti prendo tra un momento. Ho già in braccio tua sorella, non è che potesti aspettare un minuto?”
“No!” (Conosce tre parole, ma sa perfettamente come usarle. La terza è “biscotto“).
“Miao…”
“Artù, bello mio… Vieni qui che ti accarezzo”
“Maaaoooo”
“Cosa? Vuoi salirmi in collo? Guarda, non so se è una buona idea, non c’è più spaz….”
“Meeeeeeeeeooooooowwww”
“Ok, mi sa che tra il mio sterno, la testa di Flavia e la mano di Davide è rimasto un po’ di spazio…”
Per i miei figli l’alto contatto non è un’esigenza. È una missione di vita.
Fortuna che esistono le fasce portabebè…