Storie di lana e di microfibra. E di scaldamuscoli che fermano il sangue

In principio sono stati gli anni ’80, Flashdance e Saranno Famosi. Con l’abbigliamento tecnico naturale molto al di là da venire, erano gli anni dei body sgambatissimi (se provassi a indossarli io, sembrerei un ex lottatore sovietico di greco-romana) e gli scaldamuscoli ai polpacci. Che poi mi sono sempre chiesta il senso di essere mezze nude, ma con le caviglie belle calde. Avevo anche una Barbie, con gli scaldamuscoli: nel mio immaginario di bambina facevano tanto atleta olimpionica, ma nella realtà non sono mai riuscita a indossarli. Mi facevano prurito, si attorcigliavano senza eleganza, mi facevano sembrare più goffa e più bassa, e ce ne vuole. Mi fermavano il sangue, per citare De André.

I ’90 sono stati gli anni dei completini stretch molto colorati, portati con le scarpe da tennis. Erano i tempi di Non è la Rai, che hanno sdoganato nel quotidiano indumenti che prima sarebbero stati sfoggiati solo in palestra, o al massimo in spiaggia. Elastane a profusione, abbinamenti tono su tono, e molte, moltissime discussioni in famiglia.

Il nuovo millennio è cominciato all’insegna dei talent televisivi e di una rinnovata popolarità per lo sport in senso lato. Danza in tutte le salse (ve lo ricordate Paso Adelante? E i miliardi di film sul ballo?), ma anche fitness, escursionismo, sport invernali e molto altro. Vestirsi “per la palestra” ha smesso di significare “metto su la maglietta più scolorita che possiedo” ed è diventata un’occasione come un’altra per sfoggiare capi alla moda e di buona fattura. Una scelta di stile importante e rigorosa, cui dedicare sempre una grande attenzione. Tranne per me, che una volta, quando abitavo a Roma, ho persino dimenticato di mettere il cambio in borsa, e ho dovuto comprare una tuta improponibile a una bancarella lì vicino.

Gli anni più recenti sono stati il tripudio del sintetico e del fluo. Materiali tecnici e colori al neon, la microfibra come filosofia di vita e panacea di tutti i mali, le sudate e le puzze di umidità. Eppure, sarà che sono strana, la roba sintetica su di me ha un effetto devastante: mi fa maleodorare, inibisce la traspirazione, mi fa sentire sporca e a disagio. E secca la mia pelle come il deserto del Gobi. Niente fibre sintetiche a contatto con la pelle, per la sottoscritta. Né in palestra, né altrove.

Quale sarà il futuro, allora? Ci scommetto: un ritorno graduale alle fibre naturali, la tradizione a braccetto della modernità. Il recupero di tecniche di tessitura e materiali biodegradabili, ecologici, traspiranti. Magari riciclati e riciclabili. Il cotone, il lino, la seta. E la lana, anche per fare sport.

È la filosofia di Reda Rewoolution, che realizza abbigliamento tecnico naturale in lana merino, traspirante, termoregolante ed elastico. Perfetto per tutte le attività sportive outdoor, dal trekking alla corsa, dalla vela al golf. Un tessuto che, grazie all’unicità e alla finezza della sua fibra, garantisce una speciale setosità e un alto potere assorbente (> del 35% del suo peso) e che permette di farsi una passeggiata in montagna, aggiungo io, senza puzzare di petrolio e di piedi.

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Post in collaborazione con Reda Rewoolution.

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