Il cuore diviso

All’inizio sei incinta. E non vedi l’ora che tuo figlio nasca, che ti restituisca il tuo corpo e i tuoi vestiti, la tua leggerezza e la tua libertà. Allo stesso tempo, però, una parte di te vorrebbe tenerlo nella pancia ancora un po’. Indugiare in quella sensazione mai provata prima, che vi rende un essere unico pure essendo due persone distinte. Continuare a sentire che quel bimbo ti appartiene appena un altro attimo, perché saprai che smetterà di essere tuo non appena sarà uscito da te.

Poi ti trovi di fronte un neonato microscopico, che diventa subito un piccolo bambino. E tu non vedi l’ora che cresca. Che impari a camminare, poi a parlare, a usare il vasino. Che la smetta di svegliarsi di notte e incominci a giocare da solo. Che la fatica di crescerlo si faccia meno feroce. Ma allo stesso tempo vorresti ibernare quella neonataggine così irresistibile, scatti miliardi di foto, registri vocalizzi e balbettii, conservi calchi di manine paffute e impronte di piedi sudati. “Per non dimenticare”. Senti che qualcosa, inesorabilmente, si perderà senza rimedio nella fretta con cui tuo figlio sta crescendo. Che ti mancherà, quel microscopico rompiscatole che ti ha tolto il sonno e l’innocenza.

In un batter d’occhio quell’umano bonsai diventa un adulto in miniatura. La scuola, i compiti, il tetris quotidiano per accompagnarlo in palestra, a lezione di musica, a casa degli amici. E tu non vedi l’ora che cominci ad andare in giro da solo, che sia autonomo, che si organizzi per conto proprio. Eppure lui ti prende ancora la mano quando attraversate la strada, e tu ogni volta fai un pizzico di fatica nel lasciarle andare, quelle dita divenute sottili ma ancora lisce e così mobili. Ogni volta è un piccolo tuffo al cuore, accompagnato dalla stessa, tacita domanda: sarà l’ultima volta che mi tende la mano a un incrocio?

Alla fine arriva. In una cacofonia di porte sbattute e canzoni ad altissimo volume, l’adolescenza viene e si porta via per sempre il bambino che era stato tuo figlio. E tu non vedi l’ora che finisca. Che quella tensione costante si sciolga per sempre, che quel ragazzo emaciato che vagola per casa con l’apparente esclusivo obiettivo di litigare, mortificarti, sbatterti in faccia la sua ingratitudine assoluta ed eterna diventi un adulto ragionevole. Eppure, qualche volta, ti sorprendi a sperare di fermare il tempo. Succede quando tuo figlio somiglia, senza saperlo, al bambino che era stato. Per un attimo, magari, e a parte te non se ne accorge nessuno. Un abbraccio fugace, un sorriso uguale alle foto che ancora occhieggiano dalle pareti. La tenerezza dell’infanzia perduta che si affaccia nel delirio ormonale di quell’anticipo di giovinezza, e tu vorresti fermarla tra le tue dita, stringerla forte e non lasciarla più andare.

Essere madre, o padre, è guardare costantemente avanti senza mai perdere di vista la strada alle tue spalle. È il cuore diviso tra l’urgenza del futuro e la malinconica vertigine del tempo che scorre. È la nostalgia mozzafiato per qualcosa che ancora deve accadere. Essere madre o padre è la curiosità di scoprire quello che ti attende mischiata alla volontà disperata di godere appieno di quello che stai vivendo oggi. È il desiderio che la vita ti sollevi da una responsabilità colossale e l’orgoglio di sobbarcarsi ogni giorno quella stessa responsabilità. Il bisogno naturale di affidare al mondo i tuoi figli, e la necessità quasi fisica di affrancarti dalla fatica di crescerli, che si confondono con l’umanissimo istinto di tenerli accanto a te, tra le tue braccia, nel tuo campo visivo innamorato.

Essere madre, e padre, è la tentazione lusinghiera di continuare a sentirsi indispensabili per i propri figli che combatte ogni momento con la volontà granitica di insegnare loro a camminare da soli. Avere voglia di tirare il freno mentre stai correndo fortissimo e cercare l’acceleratore mentre procedi a passo d’uomo. Il cuore indeciso, confuso, sdoppiato. Il cuore diviso. 

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9 Commenti

LaBera 1 Giugno 2016 - 12:31

Come sempre sai cogliere ogni emozione che abbiamo nel cuore! Grazie davvero

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gianna 1 Giugno 2016 - 12:38

esattamente così…con ql orologio che mentre corri o mentre ti sforzi di strapaprti alle corse quotidiane e godere dei tuoi figli, in testa continua il suo sadico “tic tac tic tac”……nodo alla gola e lacrime che velano lo sguardo….e bagnano la tastiera…complimenti per l’articolo

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elena 1 Giugno 2016 - 14:23

Parole così azzeccate per descrivere cosa prova un genitore non le ho MAI lette….
Dio che magone……

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Roberta 1 Giugno 2016 - 16:49

Mi sono commossa.. Magone a palla!
Bellissime parole.

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Barbara 1 Giugno 2016 - 17:05

Parole bellissime.. per descrivere quel sentimento struggente che si prova dentro.

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larosaviola 1 Giugno 2016 - 17:36

Bellissimo articolo 😀

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penelopecross 3 Giugno 2016 - 09:24

ma che bello!!!!! grazie per le tue parole, così vere

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Mariantonietta Capasso 6 Giugno 2016 - 13:11

Articolo profondo, Ben scritto e coinvolgente!

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pino lipari 8 Giugno 2016 - 10:04

Isabelle, che bella cosa che hai postato!!
Vera,commovente e sperimentata. Tu ancora ci devi passare, ma sarà così. Ti auguro che Luca e voi, papà e mamma, passiate le tappe cosi ben descritte con la soddisfazione e l’ orgoglio che derivano dalla consapevolezza di essere stati dei bravi genitori.
Un abbraccio.

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